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«Un trionfo nascosto dietro una curva»

«Non mi hanno mai considerato perché sono piccolo e pelato, ma non siamo a Miss Italia»

Pier Augusto Stagi

da Salisburgo

Gli mancava solo quella maglia, quell'ultimo colpo d'ali per spiccare definitivamente il volo. Paolo Bettini campione nelle corse di un giorno, capace di vincere due Liegi, una Sanremo, due Zurigo, un Amburgo, un San Sebastian e un Lombardia, oltre a tre coppe del Mondo. Lui nato come faticatore del pedale, un brutto anatroccolo delle due ruote, che non nasce con le stimmate del campione, anche se in bicicletta è sempre andato forte, tanto che nelle categorie giovanili i genitori dei suoi rivali di un tempo, chiamavano al sabato per sapere se il giorno dopo correva anche quel ragazzino di Cecina. «Sì, c'è anche Bettini...». «Bene, allora noi andiamo da un'altra parte».
Ha sempre vinto bene e tanto questo scricciolo di corridore, che dimostrava più anni della sua età. «Mi hanno sempre considerato un giovane vecchio, che ha rischiato di non passare professionista. Fortuna che qualche amico ce l'avevo anch'io...», dice. Troppo piccolo, con un fisico da non far girare la testa e quella considerazione limitata e circoscritta ad un ruolo di fatica. Ai mondiali di Lugano under 23, nel 1996, Bettini sfacchinò per tutto il giorno dalla mattina alla sera, poi nel finale il via libera fu lasciato a Giuliano Figueras, che vinse e superò i nostri Sgambelluri e Sironi. Lui, Bettini, con le lacrime agli occhi arrivò quarto, appena sotto il podio.
È stato considerato per anni uno dei tanti. Oggi, però, è uno dei pochi che può dire di aver vinto tutto quello che un corridore con le sue caratteristiche spera di vincere. Ha cominciato come gregario fedele di Michele Bartoli, ma già in allenamento si vedeva di che pasta era fatto: gambe forti e cervello fino. Lo staccava in salita, ma lo aspettava, per non demoralizzarlo: era pur sempre il suo capitano, Bartoli. Ha fatto la spalla fin quando ha potuto, poi, alla prima occasione (incidente di Bartoli al Giro di Germania), Bettini si è messo in proprio. «Ho sempre creduto in me stesso - racconta il neo campione del mondo -, ma il mio cammino è stato lungo e non privo di difficoltà: prima ho dovuto convincere gli altri, a suon di risultati. Oggi sono felice, e tanti lo sono con me».
Ringrazia la squadra, il tecnico Ballerini, la Federazione. «Siamo stati squadra. Una squadra di capitani, priva di gregari, che all'occorrenza hanno saputo sacrificarsi fino in fondo. Io so cosa significa, vengo da lì, e oggi i miei compagni hanno fatto qualcosa di eccezionale. A 5 chilometri dal traguardo ho detto a tutti di crederci. Abbiamo corso benissimo, io stavo come a Madrid, l'ho detto anche a Franco (Ballerini, ndr): state tranquilli. E quell’ultima curva è stata decisiva».
Gli chiedono: più felice per l'oro olimpico o il mondiale? Lui: «Quando vinco sono felice, e anche tanto. Ma l'Olimpiade resta per me una corsa tutta speciale, che ti proietta fuori dai confini del ciclismo e ti porta dritto nella storia dello sport». E adesso, che obiettivi restano? «Mi manca un Fiandre, mi piacerebbe far bene in un grande Giro, ma non so se sono adatto alle corse di tre settimane, poi c'è un Lombardia da onorare e vincere in maglia iridata. E poi quest'inverno farò qualche sei giorni, in pista. Non mi annoierò di certo, ho voglia di mettermi ancora in discussione. C'è chi nasce con le attenzioni di tutti, io me le sono dovute conquistare. Forse perché mi manca qualche centimetro di troppo e qualche capello, ma qui si corre in bicicletta, non siamo mica a Miss Italia...». E giù una risata. Non parla da brutto anatroccolo, Paolo Bettini.

Parla da campione del mondo: il cigno ha spiccato il volo.

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