Dal trionfo alla resa, un anno di guerra agli olandesi

L’offensiva contro Abn Amro per il controllo dell’istituto veneto sembrava chiusa con il «sì» di Fazio. Poi il declino: l’affondo Consob, la retromarcia di Bankitalia e l’indagine

Massimo Restelli

da Milano

Un castello di carte da gioco che frana quando era prossimo a essere completato scoprendo un fitto intreccio di accordi e operazioni finanziarie su cui si è scatenato il ciclone della Consob e della Procura. Potrebbe essere riassunta così l’operazione con cui Gianpiero Fiorani ha condotto l’ex Banca Popolare di Lodi a tentare la scalata ad Antonveneta sbarrando la strada all’olandese Abn Amro.
Le disparità delle forze in campo avrebbe consigliato prudenza ma Padova rappresentava il coronamento della crescita vorticosa che aveva permesso a Lodi, la più antica popolare del Paese (la nascita è nel 1864), di trasformarsi da una realtà di provincia in un gruppo di respiro nazionale. La partita segreta inizia a novembre 2004, quando il gruppo conclude i primi derivati su Antonveneta, quella ufficiale il 19 gennaio con il vertice diplomatico tra Fiorani e il plenipotenziario di Abn in Italia, Francesco Spinelli.
Prove di dialogo e volontà di collaborare che si dissolvono in poche settimane: il 30 marzo Abn pone sul tavolo 25 euro per ogni azione Antonveneta di cui è da tempo il primo azionista. L’offerta è generosa e, a dispetto degli studi degli analisti, valorizza il gruppo 7,2 miliardi ma Fiorani mostra i muscoli annunciando la propria volontà di porsi tra gli azionisti stabili di Padova. Dove accresce velocemente il proprio peso azionario fino a portarsi a ridosso del 30% rastrellando le quote vendute dai veneti riuniti in Deltaerre. Amsterdam sferra i primi fendenti legali sospettando acquisti mascherati ma il 29 aprile Bipielle propone un’offerta mista (in gergo Opas) da 26 euro tra contanti e azioni.
Bankitalia benedice in silenzio l’iniziativa issando la bandiera dell’italianità del sistema ma a crescere è il pressing della Consob che, mentre l’ex vicedirettore generale Egidio Menclossi ricostruisce ai magistrati il ruolo di Bpl Suisse, scopre la cosiddetta «azione di concerto» tra Lodi e una platea di finanzieri-immobiliaristi alleati (Emilio Gnutti, Danilo Coppola e i Lonati) imponendo un’Opa obbligatoria. È il 30 aprile: tra un tifo calcistico i soci degustano i prodotti tipici della Bassa e l’assemblea approva il rafforzamento patrimoniale della banca che lo stesso giorno conquista il Cda di Antonveneta. È il trionfo di Fiorani che il 23 giugno arruola Luisa Corna per festeggiare in un altro bagno di folla il cambio di denominazione in Banca Popolare Italiana.
La città di Lodi sogna ma Abn ritocca la propria offerta in contanti a 26,5 e i magistrati pianificano alcune intercettazioni sulle telefonate di Fiorani che nel frattempo rilancia a 27,5 euro per contrastare la proposta di Amsterdam. Dopo un lungo braccio di ferro il 28 giugno la Commissione di Lamberto Cardia ammette l’offerta di Bpi che da parte sua annuncia la cessione, poi rivelatasi fittizia, di partecipazioni di minoranza per un miliardo ad alcune banche estere.
Diverso però l’esito delle verifiche degli ispettori di Bankitalia che l’8 luglio esprimono un primo parere negativo sulla scalata di Bpi che sarà poi ribaltato da Antonio Fazio. Il via libera si materializza poco dopo la mezzanotte dell’11 luglio: il governatore ha appena firmato l’autorizzazione all’Opa e contatta Fiorani. «Tonino, io guarda, ti darei un bacio in questo momento, sulla fronte ma non posso farlo...» commenta il banchiere coniando un epiteto che fa il giro del mondo rimbalzando sulle prime pagine del Financial Times e del Wall Street Journal.
I dubbi sulla solidità patrimoniale di Bpi aumentano, l’Ue e il Comitato interministeriale per il credito e il risparmio chiedono spiegazioni a Palazzo Koch ma il 22 luglio l’offerta di Abn si conclude con un nulla di fatto. Poche ore dopo la situazione si ribalta perché la Consob amplia il «concerto» all’immobiliarista Stefano Ricucci, con la conseguenza di congelarne i diritti di voto.
Un brutto colpo per Bpi che vaga alla ricerca delle contromosse ma riceve l’affondo mortale dai magistrati che, il 25 luglio, mettono sotto sequestro il 40% di Antonveneta. Una settimana dopo, il 2 agosto, il Gip sospende Fiorani (iscritto nel registro degli indagati insieme a Gnutti e altre 21 persone dal 17 maggio) e il direttore finanziario Gianfranco Boni che a settembre si dimettono. Il timone passa al vicepresidente Giorgio Olmo che si affida alla consulenza di Dresdner e Lazard per valorizzare il proprio investimento ma i potenziali acquirenti svaniscono e il 26 settembre Bpi decide di cedere il pacchetto agli olandesi.
Le due offerte su Padova sono carta straccia e scoppia il caso dei conti Vip ma Lodi affida la direzione generale a Divo Gronchi che avvia una severa pulizia di bilancio considerando nulle anche le cessioni di minoranza: 347,5 milioni il rosso della semestrale.

Inizia novembre, per rimanere indipendente la banca ha bisogno di uscire dall’impasse Antonveneta: da qui il tiro alla fune con la Procura che pochi giorni fa ha ottenuto le dimissioni di tutti i consiglieri e dei sindaci con il contemporaneo ingresso di Piero Giarda. L’ex sottosegretario al Tesoro è destinato alla presidenza ma molto dipenderà dall’assemblea dei soci che il 27-28 gennaio eleggerà il nuovo board.

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