Tripoli aspetta l’Apocalisse: «Pronti al martirio»

Ma quale tregua, sono tutte bugie: «Il regime di Gheddafi non ha mai cessato di colpire o attaccare il suo popolo, e continua ad attaccare le città assediate» fa sapere Khaled al-Sayeh, membro del Consiglio militare dei ribelli, che dice anche che pesanti bombardamenti sono ancora in corso a Misurata, Zenten e Adjabiya nonostante il cessate il fuoco proclamato questa mattina da Tripoli. Che però sente vicino l’arrivo dei nostri: «Esiste una coordinazione con i diversi enti internazionali sulle azioni da compiere e alcuni obbiettivi sono già stati scelti». Parla degli obiettivi da colpire nelle incursioni aeree contro le forze del rais, ci coordineremo con la comunità internazionale e sarà lì che comincerà la riscossa. A cui parteciperanno anche degli insospettabili. Come Sam per esempio, che vive a Londra e si prepara a partire per la Libia. Via il joystick della Wii, largo all’AK47, l’arma del rivoluzionario che si rispetti. Un bel cambiamento per quest’adolescente londinese di origine libica. «Spero m’insegnino a usare un’arma», racconta durante il suo viaggio verso Bengasi. «L’unica esperienza che ho è con i videogame». Sam non parla una parola di arabo, ha 19 anni e ama il calcio, come tanti suoi coetanei della capitale britannica. Con una differenza. Stare con le mani in mano «non era più cosa». E quindi via, alla guerra.
«Voglio dire - racconta al Daily Telegraph in un inglese pieno zeppo di slang e consonanti affogate in gola - che non ne potevo più di stare davanti alla televisione a guardare i Tg, dovevo fare qualcosa. Cioè capisci?». Sam è uno dei tanti ragazzi libici della diaspora, nati in giro per il mondo dopo che i loro genitori, per diverse ragioni, hanno abbandonato la Libia di Gheddafi. Il colonnello si prese il paese nel 1969: abbastanza per far crescere all’estero due generazioni di dissidenti. Che, da quando la rivolta è scattata, a metà febbraio, si sono mobilitati sul web attraverso i soliti social network. Da Malta al Cairo, da Manchester ad Atlanta, gli ultimi figli della Libia - e pensare che la maggior parte di loro nella terra dei padri o dei nonni non ci è neanche mai stata - hanno fatto fronte comune per organizzare manifestazioni o raccolte di fondi. Altri hanno infine scelto di attraversare il Rubicone.
Ecco allora che Sam, dopo aver ricevuto il permesso dei genitori, è volato in Egitto e da lì si è diretto verso la frontiera. Ad accompagnarlo nel suo viaggio verso la ribellione, ognuno con il suo vissuto e le sue buone ragioni per rischiare la pelle, un imprenditore di mezza età e un dottore un pò più anziano.

«Spero solo m’insegnino a usare il fucile», ripete. Si butta in spalla uno zaino, sorride, fa il segno della vittoria con le dita e punta verso Bengasi. «Se Dio vuole alla fine organizzeremo un’enorme rimpatriata a Tripoli, ok?». Inshallah.

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