Alla Scala si discute sulla sostituzione del tenore, qui collezioniamo solo stecche. A Milano riscoprono il gusto del teatro dell’Opera, a Genova viene disgusto nel parlare del teatro dell’Opera. Alla Scala si sale, al Carlo Felice si scende. Meglio, si cade. A precipizio. Come in un burrone, dove non si vede il fondo.
Eppure, c’era chi sbandierava ai quattro venti che la sostituzione del sovrintendente Gennaro Di Benedetto sarebbe stata la panacea di tutti i mali, capace di risolvere ogni problema e di far diventare il Carlo non Felice, ma Felicissimo. Gente di centrodestra, gente di centrosinistra, sindacati, cantanti e tromboni, tutti insieme appassionatamente, guidati dal sindaco, a spiegare che cambiando il mister sarebbero cambiati anche i risultati.
Effettivamente, i risultati sono cambiati. Nel senso che gli equilibri di bilancio - realizzati anche grazie a sponsorizzazioni, fondi straordinari, fondi residui delle Colombiane, varie ed eventuali - non ci sono più. Gli sponsor sono in fuga, il contributo della Fondazione Carige è drasticamente tagliato e - fra uno sciopero e l’altro, ultimo della serie quello di ieri sera che ha fatto saltare la prima dello Schiaccianoci - l’unica orchestra che viene in mente guardando il teatro di piazza De Ferrari è quella sul ponte del Titanic: «Signori, è stato un onore suonare qui con voi questa sera».
Siamo al punto che ci sarebbe da augurarsi che venisse accolto il ricorso dell’ex consigliere della Fondazione Carlo Felice Mario Menini - che chiede l’annullamento del commissariamento del Carlo Felice per insussistenza di ogni requisito - e che si tornasse indietro con la macchina del tempo. Insomma, che Di Benedetto tornasse sovrintendente e che qualcuno si mettesse a cercare i soldi necessari per andare avanti. Oppure che, con molta onestà, si alzasse bandiera bianca, si dicesse che non ce n’è più e che si mandasse a casa l’orchestrina del Titanic. Addirittura, si vocifera sulla volontà di nominare nuovi dirigenti, come se stesse lì il segreto della salvezza del Carlo Felice, nell’incrementare, non nel tagliare. Per di più in un posto dove già abbondano i capi: dal commissario Ferrazza alla direttrice Ferrari, fino al sommo maestro Oren.
Basta? Non basta. Addirittura salterà il galà di Finmeccanica di domani per lo sciopero della Cgil e la mancanza di dialogo del teatro, talmente poco elastico da non poter trattare in extremis. È quasi superfluo ricordare che Finmeccanica è rimasto uno dei pochi sponsor in servizio permanente effettivo.
Se fossimo nel calcio, ci sarebbe da augurarsi che venisse richiamato di corsa, immediatamente e con tanto di scuse da parte di Marta, Gennaro Di Benedetto, il cui contratto peraltro non è scaduto e che quindi intraprenderà una durissima causa legale per vedersi riconosciuti i propri diritti.
Il modello, insomma, è quello del Cagliari di Cellino che una volta richiamò Giampaolo e un’altra Ballardini, rimangiandosi le decisioni prese. Non fece bella figura. Ma il Cagliari si salvò.
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