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Tronchetti dal gip: D’Alema e quel fondo segreto

L’ex numero uno di Telecom ascoltato a Milano come testimone: "Il capo della security Tavaroli mi riferì che poteva avere accesso a informazioni sul politico. Gli dissi di portare le notizie in Procura". E sulle intercettazioni: "Non immaginavo fossero illegali"

Tronchetti dal gip: D’Alema e quel fondo segreto

Milano - «Inutile che mi facciate domande. Io sono qui come testimone e rispondo al giudice, sarebbe un grave errore parlare con i giornalisti prima di deporre. Io ho sempre risposto a tutto ma nelle sedi istituzionali. E poi avete letto i verbali? Lì ci sono tutte le risposte. Ci sono magistrati che hanno fatto quattro anni di indagini e non quattro minuti di chiacchiere nei corridoi, questo è quello che conta. Ci sono delle regole e io rispetto le regole».

È cominciato così, con poche ma chiare battute, il lungo pomeriggio in tribunale di Marco Tronchetti Provera. Poche ma chiare battute, sibilate con l’aplomb di sempre, mentre il presidente di Pirelli faceva pazientemente anticamera nel corridoio al primo piano del palazzo di giustizia milanese. In attesa che il giudice per le udienze preliminari, Mariolina Panasiti, completasse l’appello della lunga lista di avvocati, arruolati dalle parti per il processo sulle intercettazioni Telecom, e decidesse se ammettere o no i giornalisti in aula. Venti minuti di attesa durante i quali proprio lui, il Grande Atteso, ha perso la pazienza soltanto quando, incalzato con debordante insistenza da un cinegiornalista freelance, che vende spesso servizi ad Annozero, ha chiuso la conversazione con un «lei è un maleducato, la smetta di infastidirmi».

Nella deposizione di Tronchetti Provera c’è stato spazio anche per la faccenda del cosiddetto Oak Fund, un fondo che nell’inchiesta era riconducibile a Massimo D’Alema. Il manager avrebbe dichiarato in aula: «Il capo della security Telecom Giuliano Tavaroli mi riferì che poteva avere accesso a informazioni su un fondo di D’Alema. Io gli dissi “se lei ha questo tipo di notizie le porti in Procura”».

Bocciata la presenza in aula dei giornalisti per l’opposizione dall’avvocato dell’investigatore privato Marco Bernardini, fotografi e cronisti hanno dovuto bivaccare per oltre tre ore in attesa che l’udienza si concludesse, per venire aggiornata al 16 marzo prossimo. E così, anche se all’uscita Tronchetti Provera si è comportato allo stesso modo che al suo arrivo («Le cose dette come testimone - si è limitato a dichiarare - non possono essere ripetute, quando saranno messe a verbale saranno rese pubbliche, ora non sarebbe corretto» ) è un dato di fatto che in aula, come ha dichiarato l’avvocato Lanfranconi, uno dei suoi legali, il presidente di Pirelli ascoltato, lo ricordiamo, come teste assistito, ha ribadito la propria estraneità alla vicenda dei dossier illeciti. Ricalcando la deposizione che già aveva reso ai pm Fabio Napoleone e Nicola Piacente, il 27 giugno 2008, durante la sua testimonianza prima della chiusura delle indagini. L’avvocato Lanfranconi, ha infatti sottolineato come il presidente di Pirelli abbia ribadito che «tutte le irregolarità rilevate in modo autonomo dalla società siano state portate a conoscenza dell’autorità giudiziaria. Marco Tronchetti Provera, agenda alla mano - ha aggiunto il legale -, ha anche precisato di aver avuto con Giuliano Tavaroli incontri sporadici, comunque molto ridotti rispetto a quelli tenuti con i collaboratori operativi».

Tronchetti Provera ha poi spiegato che non immaginava che le informazioni a lui riferite dall’ex capo della security provenissero da dossier illeciti realizzati dal suo dipendente. «Credevo che fossero informazioni recuperate negli ambienti che frequentava, ma non immaginavo che fossero ottenute attraverso vie illegali». Tronchetti ha precisato di aver avuto stima di Tavaroli fino a quando non ha scoperto, con sorpresa, dei suoi comportamenti che l’hanno portato a diventare il principale indagato dell’inchiesta sui dossier illeciti condotta dalla Procura di Milano.

Sempre rispondendo alle domande del gup Mariolina Panasiti, l’ex presidente di Telecom, che ha dichiarato di non aver mai avuto alcun interesse a sollecitare la security per fare attività di dossieraggio su Afef e sui suoi familiari, ha giustificato l’aumento del budget messo a disposizione dell’area security attribuendolo a normali logiche aziendali.

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