Troppe ambulanze in panne perfino con i malati a bordo

Al 118 serve una «rianimazione» delle batterie elettriche

Alessia Marani

L’ambulanza parte a spinta e, qualche volta, lascia pure il malato per strada. Più che una gag di un film sul ragionier Fantozzi, è quanto accade in questi giorni per le strade di Roma, con il rischio di dar vita a scene tragicomiche. Giorni caldi, di temperatura record, in cui gli impianti dell’aria condizionata delle vetture arrivate circa un anno e mezzo fa nel parco auto regionale del Pronto intervento cittadino 118, si surriscaldano al punto da non far ripartire i mezzi.
Accade, insomma, che l’energia assorbita da attrezzature, luci, sirena a cui viene aggiunto quindi il condizionamento, sia talmente tanta che l’ambulanza finisca per andare in tilt a causa dello «scaricamento» della batteria. Anche in pieno soccorso.
Martedì pomeriggio, finisce «appiedato» un paziente appena soccorso dalla vettura “434” a Corviale, lungo la Portuense. I sanitari lo caricano a bordo, destinazione ospedale di San Camillo. Ma non c’è niente da fare, l’autista gira la chiave nel cruscotto, a vuoto, non si accende nemmeno il quadro degli strumenti. Alla fine, dalla centrale operativa sono costretti a inviare sul posto un’altra ambulanza.
Per il malato, fortunatamente non grave, si tratta di minuti preziosi persi e che, in altri casi - come per un infarto - avrebbero potuto significare la vita o la morte.
Non basta. Nel corso dello stesso pomeriggio, a rimanere fermo nella postazione dell’ospedale di Monteverde è il centromobile. Ovvero l’unità specializzata per gli interventi più gravi, quella con defibrillatore, macchina per l’intubazione e medico rianimatore a bordo.
Stessa storia. Parte una vettura semplice. Poi è il turno della “409” che arriva di corsa, a sirene spiegate, sulla rampa del pronto soccorso. Lascia il malato in corsia alle cure dei medici, quindi infermiere, ausiliario e conducente, risalgono sul mezzo. Ma l’ambulanza non si mette in moto. I tre sono costretti a scendere e a chiamare l’officina.
Tutt’altro che un esempio di efficienza agli occhi delle decine di persone incredule assiepate tra cortile e sala d’attesa. L’alternativa? Partire a spinta. Ma non è certo dignitoso. Secondo i più, basterebbe cambiare alternatori e batterie perché i mezzi possano tornare di nuovo affidabili. Ma finora, l’unico vero rimedio è stato il «soccorso al soccorso».
Nient’altro che un manipolo di meccanici che, armati di morsetti da collegare batteria a batteria, dai garage del San Camillo (dove si trova anche la sede amministrativa e operativa dell’Ares 118) di volta in volta fanno la spola a dare manforte al mezzo rimasto in panne.
E pensare che una recente direttiva del 118 invitava il personale a tenere tutto il giorno accese le auto in postazione in attesa della chiamata. Così da avere sempre, in piena estate, un mezzo fresco e ben areato in cui accogliere il malato. «Impossibile», tuonano gli operatori. Che replicano: «Piuttosto, dove sono finiti i soldi per la manutenzione delle nuove vetture?».
Al solo San Camillo, negli ultimi giorni, una media di tre ambulanze su cinque è rimasta almeno temporaneamente fuori servizio. In una zona della Capitale (tutto il quadrante tra il Gianicolo, la Magliana, Marconi e l’Aurelio), in cui i soccorsi sono circa un centinaio al giorno.


Niente di nuovo, in quanto a “funzionalità” per la postazione monteverdina se si pensa che agli stessi operatori (che hanno un’ex rimessa umida e malsana come sede di servizio), assediati dalle zanzare, era stato promesso fin dall’inizio dell’estate un impianto condizionatore funzionante anche nei loro locali. Mai arrivato.

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