Troppe intercettazioni? Per il pm la ricetta è arrestare i giornalisti

da Roma

Dello scontro tra politica e magistratura ormai sono stanchi proprio tutti. E anche autorevoli voci del centrosinistra sostengono che ci vuole una riforma della giustizia e che non è uno scandalo parlare di immunità per i ruoli istituzionali. Il tema convince pure personaggi antiberlusconiani, nel nome di una serena governabilità e nell’interesse del Paese.
«Bisogna uscire - dice al Giornale Giovanni Sartori - da questa maledizione giudiziaria, in senso biblico. Non si può andare avanti con una lotta tra esecutivo e magistratura, il rapporto va regolato». L’autorevole politologo ha una soluzione, anzi, più d’una. Innanzitutto, un’immunità parlamentare rinunciabile e per un solo mandato, al termine del quale deputati e senatori dovranno affrontare i processi senza essere rieletti fino alla conclusione. Secondo: separare le carriere di giudici e pm. Terzo: fare una riforma del Csm che, dice Sartori, «è ormai diventato un organo completamente corporativo e protettivo e non riesce più a tenere a freno una magistratura che, a prescindere dall’ideologia, è affetta da un esibizionismo che ne stravolge le funzioni».
Ma andiamo con ordine. L’autore di Democrazia: cosa è (1993) spiega che la vecchia autorizzazione a procedere «ha funzionato, come si sa, creando degli intoccabili, gente che per decenni è sfuggita alla giustizia». Ed è stata abolita. Ma il problema è rimasto, perché lo scopo originario di tutelare i politici e le loro funzioni è giusto, «lo era ai tempi dei sovrani assoluti e lo è nelle circostanze attuali». Dunque, per Sartori, sarebbe bene reintrodurre un’immunità parlamentare per tutti, senza eccezioni. Ma attenzione ai vecchi errori: un’immunità non per sempre, bensì legata alla legislatura. E rinunciabile.
«Dovrebbe valere per un mandato - dice il professore -, durante il quale l’interessato se ha procedimenti in corso può invocare l’immunità, oppure scegliere di affrontare il processo. Ma nel primo caso, alla fine del mandato lo scudo cade e dovrà sottoporsi al processo, senza ripresentarsi alle elezioni».
Questa soluzione, per Sartori, è migliore del Lodo Alfano, che riguarda solo quattro cariche dello Stato. «Perché proprio queste quattro - si chiede il politologo - e solo queste quattro? Il presidente della Repubblica, in verità, è già tutelato dalla Costituzione, non è responsabile dei suoi atti. Poi c’è il presidente del Consiglio e i presidenti di Camera e Senato, ma non si vede perché dovrebbero essere tutelati i vertici delle assemblee parlamentari e non tutti i membri». E poi, malgrado il ministro della Giustizia abbia sostenuto che in caso di passaggio da una carica all’altra nella stessa legislatura con il suo testo la tutela viene a cadere, Sartori non è convinto. «L’interpretazione di Alfano - dice - non regge: se il presidente della Repubblica si dimette per motivi di salute e il premier viene eletto al suo posto, che succede? Potrebbe sempre essere coperto dall’immunità. E non sarebbe giusto. Comunque, di questo discuteranno i giuristi e la Consulta. Per me, la strada dell’immunità per tutti è quella più corretta».
Ma insieme a questa riforma per Sartori ce ne vuole una seria della giustizia. «Il grande problema è quello della separazione delle carriere. I sistemi giudiziari che funzionano meglio sono quelli in cui l’attività giudicante è distinta da quella inquirente. Questo è un buon principio. Da noi, invece, la carriera unica è per i magistrati un elemento di potere, perché necessariamente giudici e pm sono tutti legati tra loro, sono nello stesso gruppo di amici. E così non va. Non va per il cittadino».
L’altra questione che non si può eludere, per il politologo, è quella di riformare il Csm. Com’è adesso, per lui, è da bocciare.

Troppo «corporativo», troppo «protettivo» verso tutte le toghe, indipendentemente da quel che fanno. E loro, i magistrati, se ne approfittano. «Vogliono far colpo - dice Sartori -, far notizia. Vogliono andare sui giornali e in tv e questo aggrava molto i già tanti problemi della giustizia. Dà un’immagine negativa».

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