Troppi alunni extracomunitari Così ritira suo figlio da scuola

Il ragazzino frequentava la seconda elementare a Ceva in una classe in cui la metà degli studenti è composta da stranieri. La famiglia: «Nostro figlio non imparava nulla»

Ferruccio Repetti

da Ceva (Cuneo)

Tre, al massimo quattro alunni, su un totale di cento in tutta la scuola: è questo, generalmente, il rapporto fra bambini extracomunitari e italiani alle elementari. Un po’ dappertutto, eccetto che a Ceva, provincia di Cuneo. Dove la proporzione si rovescia, letteralmente. E il fenomeno tende a crescere, anno dopo anno, in questo comune del Nord Ovest, 5600 abitanti, ai margini delle montagne, caratterizzato da un’economia fatta di agricoltura di pregio e piccola industria. Qui capita che il preside della scuola media provochi una sommossa popolare per aver concesso un giorno di vacanza in occasione del Ramadan, giustificandosi col fatto che «nell’istituto c’è una cospicua presenza di piccoli nordafricani», e che «per metterli a proprio agio, che c’è di meglio di far rispettare a loro e ai familiari la festività musulmana per eccellenza?». È successo cinque anni fa, pareva un episodio isolato. L’altro giorno, però, un genitore ha ritirato il figlio dalla seconda elementare della cittadina «perché - ha spiegato, serenamente, ma fermamente - il mio bambino si è trovato in un’aula divisa a metà: otto figli di extracomunitari, e altrettanti di italiani. Mi sembra troppo, ho deciso di fargli frequentare la scuola di un paese vicino». Anche perché spostarlo in un’altra «seconda» della stessa scuola non avrebbe cambiato granché la situazione.
«Il fatto è che noi - replica il direttore didattico, Giovanni Luigi Muratore - componiamo le classi senza tener conto dell’origine o del colore della pelle. Cerchiamo di formare sezioni dove i più bravi e i meno bravi siano distribuiti in modo equilibrato, non badiamo certo al fatto che gli alunni siano stranieri o no». In conclusione: «Per noi, i bambini sono tutti uguali. Al 99 per cento, i figli degli immigrati sono nati in Italia o arrivati qui piccolissimi, parlano italiano e imparano come gli altri. I genitori che prendono posizioni di rifiuto sbagliano». «Sarà, ma mio figlio, intanto, in quella classe non imparava niente» insiste il genitore cebano che ha trasferito il figlio a chilometri di distanza. La solidarietà dei concittadini non gli manca: «La provenienza da un contesto sociale così diverso è un handicap per il rendimento scolastico - si sbilancia una mamma che vuole mantenere l’anonimato, ma sta già pensando di seguire l’esempio drastico -. Non mi sembra giusto che i nostri figli debbano adattarsi ai ritmi dei compagni arrivati dal Maghreb».
No, di razzismo o, comunque, di intolleranza non vuol parlare nessuno, anche perché, da queste parti, gli extracomunitari non hanno mai creato grossi problemi. Lo conferma il sindaco, Davide Alciati: «Non direi proprio che qui c’è razzismo. Al più, si può parlare di qualche caso di maleducazione, da una parte e dall’altra». I numeri, comunque, parlano chiaro. La concentrazione di immigrati stranieri è altissima: a Ceva e dintorni, raggiunge il 12 per cento della popolazione, ma un bambino su tre fra 6 e 15 anni è figlio di extracomunitari. «Nel centro storico - ammette il sindaco - alla sera, a volte sembra quasi ci siano solo loro. Ma non hanno mai creato problemi, a parte qualche caso di spaccio di droga. Piuttosto - conclude Alciati - dobbiamo vigilare sul fenomeno dei clandestini. Da noi, per ora, gli stranieri sono tutti in regola col permesso di soggiorno e con un lavoro, ma può succedere che qualcuno ospiti conoscenti o parenti non in regola...».

È questo, forse, che fa paura, non tanto il Ramadan con la festa a scuola di cinque anni or sono, e, oggi, gli otto alunni extracomunitari su 17 nella stessa aula. «Non siamo razzisti - si difendono i cebani -. Ma preoccupati, sì. E quel papà, bisogna cercare di capire prima di criticarlo».

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