Troppi in cella: l’Italia risarcisce il detenuto

A REBIBBIA In cinque in 16 metri: la Corte europea dei diritti dell’uomo dà ragione al prigioniero

Troppi in cella: l’Italia risarcisce il detenuto

Roma Questo carcere non è un albergo. Sì, va bene, ma da qui a condividere 16 metri quadrati di cella con altre cinque persone, ce ne passa. Così Izet Sulejmanovic, bosniaco, condannato per furto aggravato a due anni di detenzione e recluso nel carcere romano di Rebibbia, ha pensato bene di rivolgersi alla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo. Che gli ha dato ragione. Condannando lo Stato italiano a risarcirlo per danni morali. A lui andranno ora mille euro di indennizzo.
Già, perché quei tre metri quadrati di prigione che gli erano stati concessi tra il novembre 2002 e l’aprile 2003 equivalgono a una tortura vera e propria. E a dirlo è proprio il Comitato per la prevenzione della tortura, secondo cui la superficie a disposizione del detenuto dell’Est era di parecchio inferiore agli standard stabiliti, ovvero meno della metà di quella prevista. La sentenza parla di «trattamenti inumani e degradanti»; andando a riaprire la questione del sovraffollamento delle carceri, un problema diffuso in tutto lo Stivale. Da Nord a Sud, sono in oltre 63.500 - per la precisione 63.587, stando agli ultimi dati resi noti dal ministero della Giustizia - le persone ammassate (è il caso di dirlo) dietro le sbarre, un record, tra cui 30.436 imputati in attesa di processo. In testa la Lombardia, con 7.587 detenuti, poi la Campania, a quota 7.437. Ben undici le regioni che avrebbero superato la capienza tollerabile, informa il sindacato autonomo di polizia penitenziaria.
Non è dunque difficile da immaginare che il caso di Izet Sulejmanovic sia tutt’altro che isolato. E se è vero che si tratta di un «precedente assoluto destinato a fare giurisprudenza», per parafrasare il ministro Maroni, allora è ipotizzabile che in futuro arrivino altri ricorsi del genere, come del resto ha sostenuto anche l’avvocato Alessandra Mari, che ha seguito la vicenda. Un bel problema per le casse dello Stato. A fare rapidamente i conti ci pensa Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone, impegnata nella difesa dei diritti del detenuto: «In Italia sono quasi la totalità i detenuti che vivono in condizioni di sovraffollamento, dopo la sentenza della Corte europea lo Stato rischia di dover pagare 64 milioni di euro di indennizzi».
Una bella sommetta, non c’è che dire. E sebbene qualcuno cerchi di minimizzare (vedi il capo del Dipartimento amministrazione penitenziaria, Franco Ionta) sono già in molti a correre ai ripari e a lambiccarsi in cerca di soluzioni. L’Unione delle camere penali ha commentato a questo modo la condanna impartita dalla Corte europea dei diritti dell’uomo: «Occorre riflettere sulle misure alternative alla detenzione, e in particolare sulla custodia preventiva prima del processo, causa il sovraffollamento la detenzione in carcere andrebbe applicata soltanto per i reati di effettivo allarme sociale». Mentre al ministero della Giustizia si parla di 5mila posti in più entro due anni, oltre che di eventuali accordi internazionali per far scontare ai detenuti stranieri le pene nei rispettivi Paesi d’appartenenza. Sull’argomento è intervenuto anche il sindaco di Roma Gianni Alemanno, tirato inevitabilmente in ballo dall’episodio avvenuto a Rebibbia: «La situazione carceraria in Italia rimane critica, e rappresenta un supplemento di pena che va al di là di quelli che sono i termini della Costituzione.

A questo punto è necessario costruire altri istituti penitenziari, altrimenti il sovraffollamento continuerà a legittimare tutta una serie di scarcerazioni facili, andando a incidere negativamente sulla sicurezza». Diverse, insomma, le proposte al vaglio. Solo su una cosa sembrano essere tutti d’accordo: niente più indulto.

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