La svolta nel processo d’appello contro Amanda Knox e Raffaele Sollecito, prossima udienza il 25 luglio, scatena le critiche degli addetti ai lavori contro le indagini e le prove scientifiche. Mostro di Firenze, Unabomber, Cogne, giallo di Garlasco, omicidio di Marta Russo, delitto di Perugia... solo alcuni dei grandi casi di cronaca nera che confermano, insieme con decine e decine di storie meno note all’opinione pubblica, il declino della criminalistica italiana. Autopsie e sopralluoghi reiterati, pratiche investigative e prove di laboratorio infarcite di errori marchiani, omissioni assurde e conclusioni fantasiose; perizie suffragate da teorie scientifiche superate e da... sentenze.
Questo perché polizia Scientifica e Ris dei Carabinieri sul fronte dell’innovazione segnano il passo, essendo sprovvisti di personale in grado di aggiornarsi attraverso la conoscenza diretta delle ultime ricerche scritte in inglese dagli esperti anglosassoni, tedeschi, israeliani...
Edoardo Mori, magistrato in pensione dopo essere stato prima giudice istruttore, poi gip e infine al tribunale della libertà: «I pm che chiedono una perizia alla Scientifica o al Ris - spiega l’ex magistrato che gestisce il sito earmi.it dove raccoglie, fra l’altro, errori e orrori delle indagini scientifiche e non - sono come quelli che sulla salute di un congiunto chiedono informazioni al portantino». Marco Morin, fra i maggiori esperti mondiali di balistica: «A volte sono più fondate le ipotesi investigative elaborate dai poliziotti della Digos delle perizie prodotte dai loro colleghi della Scientifica». Giuseppe Fortuni, docente di Medicina legale a Bologna con quattro decenni di esperienza sul campo: «Nonostante tutte le tecniche scientifiche di indagine si trovano meno colpevoli di prima».
E L’ex generale Luciano Garofano, a lungo responsabile del Ris di Parma, ammette il ritardo culturale: «La polizia giudiziaria ha fatto passi di gigante nella tecnica del sopralluogo e negli esami di laboratorio ma molto resta da da fare. Sulla scena del crimine dovrebbero andare solo specialisti puri che non abbiamo».
Insomma, pm e giudici hanno troppa fiducia nelle indagini prove di laboratorio. E le cosiddette controperizie (le consulenze dei periti di parte) più che a costruire prove alternative sono dirette a «smontare» certezze ritenute incontrovertibili dall’accusa. Non serviranno per trovare il colpevole ma almeno, e non è poco, possono evitare che un innocente finisca in carcere. Pervicacia di pm e giudici permettendo.
Si diceva di grandi casi di cronaca nera costellati di perizie sbagliate. Limitiamoci a due ambiti: i residui di sparo e la prova del Dna. Nel processo contro Pietro Pacciani, siamo nel 1992, la Corte d’assise di Firenze aveva chiesto a tre sedicenti esperti di verificare se un baby-doll e un pannolino da neonato erano stati usati per avvolgere o pulire armi da fuoco e se su di essi vi fossero tracce di polvere da sparo compatibili con munizioni calibro 22 (quelle della pistola del cosiddetto mostro di Firenze, mai trovata). Rispondendo al primo quesito i periti attribuirono alla volata di un’arma calibro 9 l’impronta nera formata da due centri concentrici neri trovati sul tessuto. E i consulenti di parte ebbero buon gioco nel demolire la perizia in quanto non esisteva alcuna pistola con la canna spessa 4,5 millimetri, ovvero capace di lasciare un’impronta come quella.
Delitto di Perugia. Ai giudici del processo d’appello contro Amanda Knox e Raffaele Sollecito, già condannati per l’uccisione di Meredith Kercher, è arrivata nelle scorse settimane una perizia che mette a dura prova le verità sulle quali si basava la sentenza di primo grado. Ma anche, purtroppo, la fiducia dell’opinione pubblica nelle cosiddette evidenze scientifiche capaci di inchiodare il colpevole.
Il Dna trovato sulla cosiddetta arma del delitto potrebbe non essere quello della vittima, sul reggiseno di Mez sono state trovate tracce di più individui di sesso maschile... I periti concludono scrivendo: «Non sono state seguite le procedure internazionali di sopralluogo e i protocolli di raccolta e campionamento».
E poi ci meravigliamo se negli Stati Uniti seguono la vicenda con un’apprensione analoga a quella che nutrirebbero verso un processo (contro un americano) celebrato in Sudan o in Malawi.Perché il limite delle prove scientifiche non è scientifico: se sul luogo del delitto non si osservano protocolli rigidissimi, tutti i test di laboratorio rischiano di essere perfettamente inutili.
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