Troppi fiaschi: il pool Unabomber a rischio chiusura

Il procuratore generale di Venezia: «Forse l’attentatore è troppo bravo per noi»

Stefano Filippi

nostro inviato a Venezia

Questione di tempo. Fra sei mesi? «Periodo ragionevole», risponde Ennio Fortuna, procuratore generale di Venezia. Dunque, in primavera lo specializzatissimo pool interforze che da due anni dà la caccia a Unabomber verrà revisionato, una sorta di tagliando. Che potrebbe tradursi in un ridimensionamento se non nella chiusura. L’ipotesi circola tra Venezia, Trieste (le due procure che indagano) e Roma: ancora qualche mese, poi - dice Fortuna - «questa modalità investigativa potrebbe essere archiviata».
Ufficialmente nessuno vuole cancellare la task force. L’ultima smentita, l’altro giorno, è del sottosegretario Alfredo Mantovano: «Il coordinamento delle indagini su Unabomber rimane in piedi», ha dichiarato a Padova. Prima di lui i due procuratori delle Dda che coordinano l’attività inquirente, Vittorio Borraccetti (Venezia) e Nicola Pace (Trieste), avevano affermato che il pool «non sarà né depotenziato né smantellato». Eppure si comincia a fare i conti con l’opportunità di tenere in piedi una simile struttura: 30 uomini (15 carabinieri, di cui 10 dei Ros, e altrettanti poliziotti) distaccati a tempo pieno tra il Veneto orientale e il Friuli per snidare il folle che da oltre dieci anni, a cadenze più o meno regolari, semina ordigni nelle spiagge, negli ovetti di cioccolato, nella Nutella, nei tubetti di maionese, nei pennarelli, sotto i sellini delle bici.
«Il pool non può essere eterno, anche se chiuderlo adesso sarebbe sbagliato», osserva Fortuna. «La struttura è efficiente ma dovrà pure avere una durata», concorda Pace. «Chiusa una serie di accertamenti bisognerà parlare dei tempi», si unisce Borraccetti.
Le questioni sul tavolo sono parecchie. Primo: i risultati. Che non ci sono. Esiste un identikit ma il fascicolo è aperto ancora contro ignoti. Nessun indagato, e tutti quelli finora «attenzionati» non c’entravano nulla con Unabomber. «Purtroppo in casi come questo non ci sono vie di mezzo - ammette Fortuna-: o lo trovi oppure no. Finora di concreto c’è poco o nulla, ma mi guardo bene dal giudicare l’investigazione solo da questo versante. Le due procure vanno d’accordissimo, lavoriamo bene, il coordinamento funziona, interveniamo molto più velocemente, siamo in grado di effettuare analisi più approfondite di prima». Ma per catturare Unabomber bisogna sperare che commetta un errore, e quindi - paradossalmente - che colpisca ancora. «Forse lui è troppo bravo per noi», ironizza il magistrato.
Altro nodo da sciogliere: i soldi. Finora il ministero dell’Interno è stato generoso. Il pool fu istituito due anni e mezzo fa, dopo che un pennarello esplosivo mutilò una ragazzina sul greto del Piave. Le indagini sono costose: appostamenti, verifiche, attrezzature informatiche, contatti con le polizie di altri Paesi, in più gli straordinari e le indennità per i 30 uomini in caccia 24 ore su 24. Il mese scorso una circolare del Servizio centrale operativo aveva tentato di tagliare i 100 euro di diaria ai poliziotti in trasferta («possono andare a mangiare e dormire nella caserma del Reparto mobile di Padova», avevano spiegato a Roma): mobilitazione sindacale e la nota è stata ritirata in un lampo.
Il segnale, tuttavia, resta: si discute sulla reale utilità di tenere bloccati tutti quegli uomini (e di spendere quello che ne consegue) su un solo caso mentre incalzano altre emergenze, per esempio il rischio del terrorismo islamico e l’ordine pubblico negli stadi. Tanto più che l’allarme sociale creato da Unabomber è pressoché inesistente. Il Corriere del Veneto ha fatto recentemente un giro nei supermercati del Nordest presi di mira dal bombarolo scoprendo che il panico tra i clienti dura appena qualche giorno, poi le vendite riprendono come prima. Nessuno rinuncia a maionese o Nutella o controlla i barattoli prima di passare dalla cassa. «Quante volte Unabomber colpisce in un anno? Due, tre? E quante morti ci sono per incidenti stradali nello stesso periodo e nelle stesse zone?», si è domandato un carabiniere di Pordenone che appoggia il pool.
Nelle ultime settimane si è aggiunto il decreto Pisanu che ha modificato la nozione di terrorismo.

«Prima - spiega il procuratore Fortuna - si parlava di “terrorismo essenziale”, una sentenza della Cassazione ci ha consentito di trattare il dinamitardo alla stregua di un eversore. Ora il decreto impone di valutare anche la gravità delle azioni terroristiche e per noi potrebbe cambiare qualcosa».

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