Troppo alti i rischi cardiovascolari

Dal rischio globale a quello residuo. Con queste parole si possono sintetizzare importanti conquiste ottenute dai cardiologi dall’inizio degli anni Novanta ad oggi. Gli eventi cardiovascolari acuti, come infarto e ictus, si sono ridotti del 40-45%, merito in gran parte dei risultati positivi raggiunti nella lotta al colesterolo cattivo (LDL) i cui valori sono diminuiti fino al 50%. L’efficacia delle nuove cure mediche è stata sorprendente. La riduzione delle placche aterosclerotiche nelle arterie ha favorito il passaggio del sangue ed evitato infarti e ictus. Il colesterolo, nella giusta misura, non è dannoso. Questa sostanza a bassa densità di natura grassa e consistenza cerosa, si trova normalmente nel circolo sanguigno e nelle cellule. Il nostro organismo produce normalmente il 75% di quello che ci necessita, il restante 25% proviene dai cibi. È l’eccesso di colesterolo totale e di LDL in particolare, che provoca la situazione patologica.
Le malattie cardiovascolari metaboliche rappresentano la maggiore causa di morte e invalidità in tutto il mondo. Il rischio cardiovascolare è globale, cioè dipende dalla presenza di tutti i fattori che, se associati moltiplicano le probabilità di andare incontro a momenti di grave criticità. È stato un grande progresso comprendere l’azione devastante che ha la presenza concomitante di più fattori. Per questo la valutazione deve essere globale, considerare cioè tutti i fattori che assieme concorrono nel provocare la crisi cardiovascolare. La valutazione globale deve tener conto della ipertensione arteriosa (colpisce il 33% degli uomini ed il 28% delle donne), dell’elevata colesterolemia (maggiore a 115mg/dl), della presenza dei trigliceridi (sopra quota 150), del diabete (glicemia sopra 126mg/dl), del sovrappeso, peggio dell’obesità. L’adiposità addominale va considerata, come pure la familiarità. La sedentarietà ed il fumo moltiplicano ulteriormente i rischi.
Il rischio residuo - vale a dire il rischio cardiovascolare che, oltre al mancato raggiungimento dei target di colesterolo LDL, si associa a bassi livelli di HDL e alti livelli di trigliceridi - è stata una seconda conquista e, negli ultimi anni, uno dei principali obiettivi della prevenzione cardiovascolare. Sul piano terapeutico vi sono ancora grandi spazi di intervento.
«Tra le novità che negli ultimi 10 anni hanno caratterizzato l’approccio clinico-terapeutico ai fattori di rischio cardiovascolare - conferma Claudio Borghi, ordinario di medicina interna al Sant’Orsola Malpighi di Bologna - vi è la maggiore attenzione ai fattori di rischio concomitanti, rispetto a quelli prevalenti, che spesso si associano e che possono condizionare il successo delle strategie di intervento. In particolare, nell’ambito dell’ipertensione è importante correggere i valori pressori ed anche il dissesto metabolico e il danno d’organo bersaglio». L’ipertensione è un fattore di rischio per un’ampia gamma di patologie a carico di cuore, cervello e rene.
«Nonostante le riduzioni significative del colesterolo LDL - afferma Alberto Corsini, ordinario di farmacologia, al dipartimento di scienze farmacologiche dell’università di Milano - la maggior parte dei pazienti (oltre il 55%) risulta ancora a rischio di un evento cardiovascolare. Non si deve solo controllare il colesterolo LDL ma anche modificare altri parametri lipidici quali i bassi livelli di HDL o elevati livelli di trigliceridi. L’acido nicotinico o niacina consente di agire sul metabolismo lipidico riducendo non solo i livelli di LDL, ma in egual misura quelli dei trigliceridi e determinando per la prima volta un incremento significativo del colesterolo HDL. Sulla base dell’esperienza clinica, questo farmaco (Tredaptive)- conclude Corsini - può essere utilizzato in associazione con statine, nei pazienti ad alto rischio cardiovascolare e in quelli con malattia cardiovascolare conclamata rappresentando una strategia terapeutica ottimale per il controllo della dislipidemia». Esistono già delle evidenze scientifiche che supportano il beneficio della niacina sul rischio cardiovascolare?
«L’acido nicotinico agisce sul metabolismo lipidico.

In particolare - precisa il professor Corsini - può determinare una inibizione al rilascio di acidi grassi a livello del tessuto adiposo e, come conseguenza riduce la capacità del fegato di produrre nuovi trigliceridi. Riduce inoltre la sintesi di apoproteina a livello epatico».

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