Come Hina, come Sanaa. Un’altra ragazza musulmana che vuole essere occidentale trova sulla sua strada un padre violento. È successo nelle Marche ieri. È successo ad Almas Mahmood, una ragazza pachistana di 17 anni che il padre Akatar, un venditore ambulante quarantenne, ha rapito dalla comunità di accoglienza «Fenice» della onlus Cante di Montevecchio di Fano (Pesaro-Urbino). Un centro al quale la giovane era stata affidata nella primavera scorsa dalla magistratura minorile, per sottrarla ai maltrattamenti del genitore, che non approvava le sue amicizie, e il suo modo di vivere «troppo occidentale». Almas è stata caricata a forza sull’auto di famiglia, una Chevrolet-Daewoo station wagon, dal padre e da un’altra persona, forse la madre. La vettura l’ha attesa nei pressi della comunità, all’incrocio con via Palazzi 5, in pieno centro, mentre rientrava da scuola, la quarta classe dell’Istituto commerciale «Cesare Battisti». La ragazza ha gridato aiuto, ha tentato di chiamare con il telefonino, ma l’apparecchio le è scivolato di mano e l’auto si è allontanata di corsa, anche se un testimone, il consigliere comunale del Pdl Francesco Cavalieri, ha fatto in tempo ad annotare il numero di targa e a sentirla «che urlava».
Inutili, finora, ricerche e posti di blocco condotti dai carabinieri in tutta la zona. Deserta l’abitazione della famiglia Mahmood, in via Molino Marazzana a Senigallia. «Siamo molto, molto preoccupati» ripete l’avvocato Monica Clementi, nominata tutore della ragazza dal Tribunale dei minori, e racconta che il padre aveva ripetutamente minacciato e picchiato la ragazza, e chiunque tentasse di aiutarla. Dietro il sequestro, sul quale indaga la Procura di Pesaro, la tipica dinamica familiare che ruota attorno a un padre-padrone. Akatar non accettava «le amicizie italiane» e la voglia di integrazione della figlia. Ad aprile l’aveva malmenata fino a mandarla in ospedale. Era scattata una segnalazione ai Servizi sociali, e il Tribunale dei minori aveva affidato Almas a una comunità di accoglienza.
Il genitore aveva fatto ricorso alla corte d’Appello, ma la diciassettenne aveva implorato i giudici di non rimandarla a vivere sotto lo stesso tetto, con la madre e altri due fratellini. L’appello era stato accolto, e Almas aveva trovato una nuova casa alla Fenice, dove si era subito ambientata. «È una ragazza brava, brava, brava», dice il presidente della onlus Giuliano Di Bari, «speriamo che la ritrovino presto, e che stia bene». Anche il preside del «Battisti», il professor Giuseppe Franchini, ha sempre avuto l’impressione che la studentessa, «molto tranquilla, serena», fosse più occidentalizzata di quanto il padre fosse disposto ad accettare. «L’ho incontrato una volta, e gli ho spiegato che le leggi in Italia sono queste, e se la figlia era stata affidata a un istituto lui doveva rispettare la decisione del Tribunale». Ma Akatar Mahmood, abituato a dettare la sua legge fra le mura domestiche, non era affatto convinto.
«Il Tribunale gli aveva impedito di incontrare la figlia», racconta l’avvocato Clementi, ma lui ci aveva provato anche una settimana fa, minacciando la comunità e i Servizi sociali. «Per lei - dice il legale - stavamo studiando un percorso di inserimento lavorativo, in vista della richiesta di permesso di soggiorno una volta compiuti i 18 anni». Ma Akatar Mahomood non ne voleva sapere, e stamani è entrato in azione, forse per portare la figlia da parenti, o magari in Pakistan, chissà. «Speriamo che le ricerche siano serrate, con posti di blocco alle frontiere» continua il legale.
Nessuno ne parla esplicitamente, ma il pensiero di tutti va ad altre tragedie da mancata integrazione, come l’assassinio di Hina Saleem, la giovane pachistana ammazzata dai parenti perché «troppo italiana». Per ritrovare Almas si è mosso anche Telefono Azzurro, che invita chiunque abbia notizie a telefonare al 116.000, la linea gratuita per i bambini scomparsi.
E non manca la presa di posizione della Lega Nord: «Ancora una volta - dice il segretario marchigiano Luca Rodolfo Paolini - si dimostra l’incompatibilità fra il nostro ordinamento e le tradizioni di alcuni immigrati di cultura islamica, che pretendono di considerare mogli e figli come oggetti di proprietà».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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