«Troppo sexy», gli islamici cacciano Beyoncè dal palco

Troppo sexy. Stop al concerto. Non la sua voce, non i testi delle sue canzoni, ma le sue curve mozzafiato, le sue movenze feline e provocanti sul palco, i miniabiti che imprigionano il suo lato B ed esaltano il décolleté sarebbero un mix offensivo, irriverente, irrispettoso della morale islamica. Anche per l’indulgente Malesia lo show di Beyoncè è eccessivamente trasgressivo. Una performance bollata come «occidentale», che pure in quell’angolo di islam del Sud-est asiatico suona come sinonimo di peccato e, quindi, da vietare a tutti i costi.
Il verdetto del Partito islamico pan-malese (Pas) non fa sconti: così i fondamentalisti mettono il burqa alla cantante pop americana. Chiedono che sia rinviato, cioè in pratica annullato, il concerto di Beyoncè, in calendario il prossimo 25 ottobre a Kuala Lampur. Sconfitti e delusi migliaia di fan, con in mano un biglietto che è ormai carta straccia. E il sogno spezzato di ammirare e ballare sull’onda dalla suadente voce di Beyoncè. Giovani fan traditi ancora una volta, com’era accaduto nel 2007, quando anche allora il concerto della 28enne pop star a stelle e strisce saltò all’ultimo momento, sempre per pressioni da parte dai membri dei partiti religiosi islamici.
Oggi come allora, Beyoncè ha ritirato fuori dal cassetto la promessa fatta ventiquattro mesi fa alla vigilia dello show. Sapendo di esibirsi in un Paese di fede islamica, la pop star aveva assicurato vestiti e look meno sexy del solito, proprio per rispettare i costumi, le tradizioni e la cultura musulmani e il Corano. Ma allora, come stavolta, niente concerto. Parlando all’emittente britannica Bbc, gli organizzatori dello spettacolo provano a spegnere il fuoco delle proteste, assicurando che comunque l’evento è stato rinviato «a una data futura», ma senza precisare quando. Sottolineano che «il rinvio è solamente una decisione dell’artista e non ha niente a che fare con ragioni esterne». Cercano di stemperare, tentano di smarcarsi, ma la verità è che anche la Malesia, dove i musulmani sono la maggioranza, ha ormai imboccato la strada di un islam intollerante. Nel Paese dove si costruiscono più moschee al mondo, il fanatismo avanza a passo di marcia. E il Partito islamico pan-malese non è la prima volta che piazza sotto i riflettori planetari il suo estremismo in salsa orientale. I fondamentalisti del Pas, anche se sono uno schieramento di minoranza nella geografia politica della Malesia, lavorano, mattone dopo mattone, per trasformare il Paese asiatico in uno Stato che si fonda sulla legge islamica, senza moderazione. I radicali malesi dell’islam non sono nuovi a insurrezioni contro i concerti di cantanti e pop star occidentali. A farne le spese sono state anche le artiste Avril Lavigne e Gwen Stefani che avevano dovuto affrontare le minacce dei musulmani più conservatori. Le due cantanti, infatti, sono state costrette a esibirsi con abiti molto casti.
E poche settimane fa, anche il concerto del gruppo americano Black Eyed Peas era stato inizialmente vietato perché sponsor principale dell’evento era una nota azienda che produce birra, la Guinness.
Gli osservatori internazionali fanno notare come in Malesia l’islam sia moderato, ma i fatti più recenti iniziano a far scricchiolare questa tesi. A cominciare dal caso della modella musulmana, 32enne e madre di due figli, che è stata recentemente condannata a sei frustate dopo essere stata sorpresa a bere alcolici in pubblico, mentre si trovava in un locale. Per poi passare alla fatwa emessa contro chi pratica lo yoga.

Fino al rigido codice di restrizioni per il vestiario di scena: è proibito infatti scoprire troppi centimetri di pelle. Lo scenario di intolleranza taglia le ali al concerto della bella Beyoncè e alla sua performance sexy, ma soprattutto suona come un nuovo campanello di allarme.

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