Massimiliano Scafi
da Roma
«Serve chiarezza», dice alluna a Marcello Pera, salito sul Colle allora dellaperitivo senza le bandierine di Stato sullauto ma con la «formalizzazione delle richieste della maggioranza e delle obiezioni dellopposizione». «Serve un gesto», insiste Carlo Azeglio Ciampi con il presidente del Senato, serve «un impegno» del governo, «una dichiarazione dintenti», un qualcosa insomma di formale, di preciso e soprattutto di scritto. E «la carta» arriverà oggi, sotto forma di un comunicato ufficiale firmato da Beppe Pisanu: il ministro dellInterno annuncerà tempi e modi delle procedure elettorali che verranno messe in moto dopo il decreto con cui il capo dello Stato manderà tutti a casa.
Dunque laccordo è pronto. Si scioglie il 10 febbraio, si vota il 9 aprile. Si allunga di due settimane la vita del Parlamento, ma si parte subito con la par condicio. Si rivedrà la legge sullinappellabilità, ma si darà modo alla Rosa nel pugno di raccogliere le firme e di partecipare alle elezioni. Ciampi accoglie lorientamento della maggioranza, che chiede altri quindici giorni di lavoro per completare una serie di provvedimenti e decreti, e anche le preoccupazioni dellopposizione sulla par condicio. Una campagna di sessanta giorni, commenta il presidente, tutto sommato «può andar bene», è «nella media» dei tempi previsti dalla Costituzione. E Berlusconi, dal canto suo, rinuncia a tirare per le lunghe la legislatura e a spostare a maggio la data del voto: gli bastano le due settimane di tempi supplementari.
La trattativa è quindi ben incanalata. La svolta in serata, dopo unaltra giornata ad alta tensione. In mattinata, la turbolenta riunione della conferenza dei capigruppo del Senato, servita, tra liti, proteste e scambi daccuse, a sancire le reciproche posizioni. Alluna, la visita di Pera a Ciampi. Unudienza «richiesta dal presidente del Senato», come fanno notare sul Colle. Un incontro non ufficiale, come confermano da Palazzo Madama, diverso dalle convocazioni formali che avvengono dopo il decreto di scioglimento: infatti la macchina di Pera si presenta senza il corredo di vessilli tricolori.
Nel pomeriggio altri contatti, altre riunioni, altre dichiarazioni, stavolta più distensive. Il premier che riparla del 9 aprile come data del voto. An che concorda sul giorno già fissato. La Lega che, per motivi di visibilità, è interessata a una veloce introduzione della par condicio. E soprattutto lUdc, che frena Berlusconi e cerca di ricucire con il Quirinale. «Non esiste una data diversa dal nove aprile - dice il segretario Lorenzo Cesa -, non siamo disponibili ad altri giochi o giochini». Persino Pier Ferdinando Casini abbandona per un secondo il suo ruolo «da notaio. «Spostare la data del voto? Non perdiamo tempo in cose inutili».
Sullaltro fronte, al di là delle proteste ufficiali, ecco lapertura del centrosinistra, il via libera, la copertura attesa da Ciampi per stringere laccordo. Prima Francesco Rutelli. «La posizione del capo dello Stato è la più ragionevole, bisogna votare nei tempi previsti», dice il leader della Margherita, sottolineando così che quello la cosa importante è andare alle urne il 9 aprile. Poi Piero Fassino: «Posso capire la tentazione di Berlusconi di prolungare la legislatura sperando che quindici giorni in più possano consentire di evitare una sconfitta inevitabile, anche se è difficile fare in due settimane quello che non si è fatto in cinque anni. Quello che conta è che si voti il 9 aprile. Si sia certi su questo e per il resto il governo si assuma le sue responsabilità». Come dire: portiamo casa il possibile, visto che se vuole due settimane il Cavaliere se le prende lo stesso.
E così, mentre una notte gelida cala su Roma, Ciampi ha in mano tutti i numeri giusti per risolvere il Sudoku elettorale. Lintesa appare davvero vicina. Prima di ratificarla però il capo dello Stato vuole vedere le carte.
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