I due grandi ex, uno di fronte allaltra, in unaula di tribunale. Letizia Moratti e Gabriele Albertini si troveranno faccia a faccia questa mattina a palazzo di Giustizia, entrambi testimoni nel processo che vede imputate quattro banche daffari per la presunta truffa dei derivati, un affare (secondo laccusa, per gli istituti di credito) che sarebbe costato a Palazzo Marino - che si è costituito parte civile - qualcosa come 100 milioni di euro.
La presenza dei due ex sindaci in aula era stata chiesta dai legali delle banche. Perché - sosteneva lavvocato Guido Alleva, uno dei legali degli istituti - «la posizione istituzionale rispetto ai contratti sui derivati stipulati è un aspetto essenziale della vicenda». in pratica, ci fu davvero una truffa, o il Comune fece una scelta consapevole nel firmare quei contratti di finanza derivata che si sono rivelati una pesante zavorra sui bilanci dellamministrazione? Oggi, dunque, Moratti e Albertini potrebbero fornire la propria versione sullaccaduto.
Imputati nel processo, oltre a Deutsche Bank, Depfa Bank, Ubs e JPMorgan, sono anche Giorgio Porta, già direttore generale di Palazzo Marino, e Mario Mauri, consulente economico. entrambi considerati stretti collaboratori di Albertini. Lo stesso Albertini aveva però attaccato Piero Borghini, allepoca direttore generale della giunta Moratti, nonché assessore al Bilancio, che in una nota del 22 novembre 2007 aveva sottolineato i «benefici» del derivato emesso nel 2005, che «ha consentito di minimizzare il costo del finanziamento, di diversificare le fonti di finanziamento, di liberare le risorse». Come a dire che la Moratti non frenò loperazione finanziaria. E che, dunque, le eventuali responsabilità (quantomeno politiche) vanno divise.
Il processo ruota attorno alle presunte irregolarità legate ai contratti derivati «agganciati» a un bond da un miliardo e 685 milioni emesso nel 2005 da Palazzo Marino sotto la giunta guidata da Gabriele Albertini. Secondo gli inquirenti le banche, dalla sottoscrizione dei contratti avvenuta a Londra (e per tanto regolati dalla legge inglese) avrebbero avuto un profitto illecito iniziale di 52 milioni poi lievitato per le rinegoziazioni a poco più di 100, e avrebbero raggirato l'amministrazione locale. Dallanalisi degli atti, la Procura ha rilevato che al momento della sottoscrizione del contratto, gli istituti di credito ora imputati avrebbero avuto un guadagno immediato messo a bilancio secondo i principi contabili internazionali.
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