Dal momento che Massimiliano Lussana, in un suo brillante editoriale, mi tira in ballo chiedendomi un parere sullinnamoramento senile del «compagno» Burlando per il «camerata» Fini, lo accontento subito dicendo che quando uno come Fini diventa loggetto del desiderio di uno come Burlando allora cè qualche cosa che non va sia nelluno che nellaltro. La serenata burlandiana ben si adatta alla voce che da qualche tempo va girando secondo cui il Fini riveduto e corretto dei giorni nostri sarebbe il miglior Segretario per un partito in crisi di idee, guida e voti come il Pd.
Una cosa è certa: se cè un Fini che manda in un brodo di giuggiole Burlando allora non è più quello che entusiasmava me, con cui ho collaborato strettamente per tantissimo tempo e che, in nome di una antica ed immutata amicizia personale, mi ha fatto anche da testimone di nozze.
Ho conosciuto Gianfranco Fini ma anche Ignazio La Russa, Maurizio Gasparri e tanti altri negli anni Settanta. Quelli «formidabili» secondo Mario Capanna e terribili secondo me. Erano i giorni in cui, per dirla con Lotta Continua «uccidere un fascista non era reato» e per cui di militanti missini - a cominciare dal genovese Ugo Venturini - ne caddero almeno ventuno. Ci battevamo - pochi contro tanti - nella trincea anticomunista opponendo alla marea di bandiere rosse il nostro Tricolore.
Ricordo quando Fini, prestando servizio militare a Savona, veniva a fare visita a me e a Giorgio Bornacin, in allora dirigenti giovanili, presso la Federazione missina di via XX Settembre.
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