« Le truppe etiopiche via in due settimane» Ma nessuno ci crede

da Mogadiscio

L'ordine regna in Somalia, almeno apparentemente. Ma si tiene sulle truppe etiopiche, che in una dozzina di giorni hanno travolto le milizie islamiche, che pur controllavano i due terzi del Paese. Ieri gli etiopi sono arrivati al confine col Kenya, e le truppe di quel Paese si sono schierate per impedire agli islamici di attraversare il confine. I kenioti hanno arrestato alcune decine di miliziani in fuga.
Almeno un migliaio i morti nel corso dei combattimenti, quasi tutti tra i miliziani, e tra loro numerosi stranieri: arabi ed eritrei soprattutto secondo fonti ufficiali. Le armate di Addis Abeba non potranno però restare a lungo in Somalia: tutti gli organismi regionali le hanno già invitate a ritirarsi. Per cui il premier ed uomo forte etiopico Meles Zenawi ha dichiarato in Parlamento che resteranno un paio di settimane, il tempo di avviare a consolidamento il processo di pacificazione e dar forza al Governo federale di transizione (Tfg). Che viene invitato, particolare importante, a impedire che i signori della guerra riprendano le redini del potere: rischio già più che reale, soprattutto a Mogadiscio.
Ma il premier del Tfg Ali Gedi - che continua nei suoi numerosissimi, e sempre più «muscolari» interventi, in netto contrasto con l'assordante silenzio del presidente ad interim Abdullahi Yusuf, che qualcuno vuole sia riparato in Kenya - afferma che probabilmente saranno necessari ancora mesi prima che le truppe di Addis Abeba possano ripiegare. Spera, così, di fortificarsi: ma per la diplomazia sono tempi impensabili.
Il problema, dunque, è quanto realisticamente potranno restare in Somalia le armate etiopiche, e cosa succederà dopo, visto che il Tfg non ha alcuna reale forza autonoma: sia politica che, meno che mai, militare. Infatti, se apparentemente l'ordine regna in Somalia (a Mogadiscio riaprono i cinema, torna in vendita il qat, erba leggermente euforizzante che la maggioranza dei somali ama masticare per ore, si risente la musica e via dicendo: tutte «diavolerie occidentali» proibite dalla Corti), sotto le ceneri il fuoco cova.
Da una parte i signori della guerra, che stanno riaffilando le armi, pronti a reimpadronirsi dei traffici della capitale; dall'altra le milizie islamiche, rifugiate in alcune impervie zone a cavallo del confine del Kenya, che appaiono perfette come base per la guerriglia.
Cercando di creare un cordone protettivo, sia Addis Abeba che il Tfg chiedono che sia subito schierata in Somalia una forza di pace panafricana. Una decisione presa oltre un anno fa dall'Ua, ma rimasta sempre solo sulla carta. In pratica, non convince l'ipotesi di un'operazione di peacekeeping che di fatto, almeno nell'immediato, serva solo a tenere in piedi un Tfg che appare non solo debole, ma diviso al suo interno.
Gedi, infine, ha annunciato che oggi riaprirà sia ai traffici commerciali che a quelli civili l'aeroporto di Mogadiscio.

Mentre la raccolta delle armi nella capitale, iniziata ieri su base volontaria, è stata, come prevedibile, del tutto fallimentare: non si è presentato nessuno. Per Gedi, se entro domani le armi non saranno consegnate volontariamente, si passerà al recupero forzoso. Una classica missione impossibile.

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