DAL TUCA TUCA ALLA RÈCLAME

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Una tassa da imporre a chi ricorre alla chirurgia estetica. Intende introdurla l’agenzia fiscale britannica (la British Hm Revenue and Customs). I pazienti che si sottoporranno a interventi di chirurgia plastica a fini puramente estetici dovranno presto pagare di più. L’Iva su queste operazione dovrebbe salire infatti al 20 per cento.
Un nuovo decolleté Oltremanica potrebbe presto valere in media mille sterline in più, prezzo su cui peserà quella che è già stata ribattezzata dai giornali inglesi «boob tax», ossia «tassa sul seno». Mentre per le casse dello Stato ciò si tradurrà in una disponibilità di circa 500 milioni di sterline supplementari. L’associazione dei chirurghi plastici britannica, la British Association of Aesthetic Plastic Surgeons, per bocca del suo presidente Fazel Fatah ha già fatto sapere che la tassa, «sulla quale la società scientifica non è stata interpellata, si rifletterà negativamente sui pazienti. Possiamo solo sperare di trovare un terreno comune nel proteggere il benessere dei pazienti e l’ovvia necessità di aumentare le entrate pubbliche». Per gli esperti, il problema sarà soprattutto quello di salvare interventi mirati, ad esempio, a correggere difetti estetici che espongono minorenni a disagio esistenziale.

Il dibattito è aperto su quali sono le operazioni realmente a fine terapeutico e quali invece solo estetiche. Una prima distinzione metterebbe tra quelle necessarie la chirurgia ricostruttiva dopo incidenti e ustioni e tra quelle superflue finirebbero il lifting facciale, la liposuzione, l’aumento di seno e labbra.

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