Tumba Tumba, il sorriso degli Inca

«Ho iniziato a recitare nelle parrocchie e nelle scuole. Poi sono arrivato fino al Vaticano»

Marina Gersony

Julio Montesinos, in arte Tumba Tumba, è un attore di teatro popolarissimo tra i peruviani e i latinoamericani a Milano e in Lombardia. Lo primavera scorsa, quando i suoi connazionali si sono recati in massa alle urne per votare il presidente del Perù al Forum di Assago, è stato accolto come una star. Quarantadue anni, di origine inca, Julio è nato a Cahua, un paesino a 800 metri sul livello del mare, incastonato tra montagne ripide e colline. In questo microcosmo che conta poco più di cento anime a circa 250 chilometri da Lima, Julio ha trascorso l’infanzia con la famiglia: padre operaio in una centrale idroelettrica, madre casalinga, quattro sorelle e tre fratelli. Lui è il quarto. Oggi vive a Milano con la sua compagna che di mestiere fa la badante.
Com’è finito in Italia?
«Beh, è una storia lunga. Ero timidissimo. A scuola ero terrorizzato dai maestri. L’unico modo in cui riuscivo ad esprimermi era attraverso la recitazione. Così dopo gli studi superiori mi sono iscritto all’Accademia di arte drammatica a Lima. Mi sono laureato e sono diventato docente di teatro».
Una passione...
«Sì. Dopo gli studi sono andato a vivere a Huacho, dove oggi vive la mia famiglia. Ho iniziato a insegnare recitazione nelle scuole e nelle parrocchie e mi esibivo nei teatri. Con il tempo mi sono affermato. Un giorno mi contattò un’associazione culturale di Roma impegnata nella salvaguardia della cultura indios. Avevano visto un mio spettacolo e mi proposero di realizzare un progetto. Si trattava di mettere in piedi un cast per interpretare un antico dramma degli incas, l’“Ollantay”, un’opera teatrale pre-ispanica. Il progetto naufragò, ma mi diede l’occasione di stabilire un rapporto con l’Italia».
E poi?
«Sono stato invitato in Vaticano ad esibirmi insieme a una compagnia di artisti messicani e peruviani davanti a Papa Wojtyla. Abbiamo ballato, cantato e suonato dal vivo. Ricordo che il Santo Padre ci chiese il bis. Ero emozionantissimo. Alla fine ci strinse la mano. Quando fu il mio turno m'incoraggiò a proseguire. Era il 25 luglio 2001».
A Milano come ci arrivò?
«A Milano avevo diversi amici e una cugina che mi spronarono a venire qui per trovare lavoro come attore».
Com’è andata?
«L’inizio è stato duro. Ho fatto il badante per tre anni presso un anziano ma non ho mai smesso di recitare le mie poesie (in spagnolo e in italiano, ndr). Un giorno un comico del tiggì latino (in onda sull’emittente locale “Più Blu Lombardia”, ndr) se ne andò e mi offrirono il suo posto. M’ispirai a Tumba Tumba, una «macchietta» creata in Perù negli anni ’70. Rappresentava una nuova versione del tipico contadino locale, allegro e divertente. In seguito mi chiamò la Asl per partecipare a un progetto per la prevenzione dell’alcol. Prevedeva momenti di aggregazione attraverso musica, danza e teatro. Ma è Tumba Tumba che mi ha dato la notorietà con i suoi sketch e le interviste ironiche in tivù (un inviato tipo “Striscia la notizia” in versione latina, ndr).


Non le sta stretto questo personaggio?
«A volte sì, mi piacerebbe avere la stessa popolarità come attore di teatro. Ma rallegra comunque che Tumba Tumba faccia sorridere i miei connazionali. E poi lo trovano simpatico anche agli italiani».

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