È sbarcato a Milano un piccolo esercito targato Ue. E' formato da ben 15 mila specialisti che partecipano, fino a mercoledì, al Congresso europeo di Oncologia medica. Ognuno ha dedicato la sua vita allo studio della malattia del secolo che colpisce tre milioni e duecentomila persone in Europa. Molti ancora non ce la fanno, molti altri guariscono. E il trend di chi ne esce è in crescita: aumenta di circa l'uno per cento ogni anno. L'Italia, buona notizia, è tra i paesi europei con il migliore tasso di guarigioni e sopravvivenza. Questo grazie alla prevenzione, ai nostri eccellenti oncologi e all'adozione di terapie sempre più personalizzate. Per esempio, ora gli esperti tendono ad accantonare - quando possono - la classica chemioterapia, per adottare quella biologica efficace ma meno invasiva e meglio tollerata dall'organismo perché colpisce le cellule malate senza bruciare quelle sane. Occhio di riguardo anche per le donne fertili. Si sono sperimentate per la prima volta terapie mirate dagli effetti tossici ridotti e sono state "messe a riposo" le ovaie . L'attenzione a non danneggiare la capacità procreativa sta diventando un obbligo. L'età di insorgenza del tumore del seno si sta infatti riducendo: circa il 4% dei casi compare prima dei 40 anni, 1.500 donne ogni anno in Italia. Di queste, il 33% non ha figli.
Ma la buona medicina fa lievitare il popolo dei "long term survivors", dei lungosopravviventi. Un brutto termine per definire chi è uscito dal tunnel. Nel nostro Paese, sono di cui sono due milioni e duecento mila le persone che hanno superato il tumore, 400.000 quelle colpite dal cancro della mammella. La vita, dopo, continua. Ma come? Molto si è fatto e si fa per la prevenzione e la ricerca, molto meno per chi convive con la malattia per anni. I malati oncologici cronici, infatti, rappresentano oggi la nuova disabilità di massa. Da un'indagine dell'Associazione italiana di oncologia medica (Aiom) emerge che ben 690.000 dei malati sono in età produttiva (tra i 20 e i 64 anni) e il 72% vuole continuare o riassumere il proprio impiego. Ma non sempre ci riesce. Eppure la volontà a reintegrarsi c'è. Quattro donne su dieci, ex-malate di cancro alla mammella, ricomincia a lavorare a due mesi dalla diagnosi, soprattutto se svolge un lavoro d'ufficio. A due anni dalla malattia la percentuale si alza al 74%. Il 35% però si sente discriminato e il 25% deve adattarsi a mansioni diverse. Da qui la necessità di evitare la discriminazione. Francesco De Lorenzo, presidente della Federazione italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia (Favo) ed ex malato di cancro, è un attivissimo artefice di iniziative a favore dei diritti dei pazienti. "Il sostegno socio-assistenziale e la tutela del lavoro sono aspetti riabilitativi di fondamentale importanza per il ritorno alla vita dopo una diagnosi di tumore" premette il professore. "Oggi uno convive con il cancro ma poi ha bisogno di mantenere il posto del lavoro con la dovuta flessibilità.". De Lorenzo spiega che è interesse di tutti affinché questa gente non si senta emarginata. "I malati di cancro incidono sul Pil per lo 0,48% e l'incidenza sulla spesa sanitaria di ogni paziente è di 25mila euro all'anno". Dunque, il reinserimento è un nodo da sciogliere. " Le leggi ci sono, così come le agevolazioni, ma non sono conosciute e non si creano le condizioni ottimali per attuarle nelle imprese" Così De Lorenzo è passato dalle parole ai fatti. "Abbiamo costruito con una delle più importanti realtà italiane, l'ENI, un progetto che ha coinvolto 3.000 persone - Il primo obiettivo è distruggere il pregiudizio secondo cui il cancro è un male incurabile. Poi partirà la fase formativa sui fattori di rischio, i diritti di pazienti e familiari e i comportamenti più idonei da mantenere per favorire la piena integrazione. Fino alla costituzione di un "Disability Management Team" permanente per la migliore gestione del reinserimento in azienda".
Ma perché ci si ammala di tumore? Le società industrializzate sono quelle che soffrono di più di questo male a causa del cibo, dello smog e della vita stressante o sedentaria. Poi c'è il fumo. L'87% dei tumori al polmone sono causati dal tabacco.
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