Rosalino Catalfamo è un lavoratore socialmente utile ma attualmente disoccupato. Faceva il contatombini per il Comune di Palermo (non ridete: a Palermo cera davvero chi veniva pagato per contare i tombini). Ma nel suo curriculum cè anche altro: per esempio, il ruolo di Pippo nelle sfilate in maschera della Disneyland parigina (con un contratto a termine di tre mesi: meglio di niente). Ebbene: affidereste a un simile soggetto unindagine delicatissima su un cittadino ricco e stimato, rampollo della miglior società palermitana? Ovviamente no. Ma è esattamente quanto avviene nel romanzo Lultima bionda di Gianfrancesco Turano (Dario Flaccovio, pagg. 234, euro 13). Dove Rosalino Catalfamo si improvvisa detective e indaga sulla misteriosa sparizione di alcune donne, tutte bionde, in unafosa Palermo estiva.
Unindagine intricata e complessa, dove Rosalino si espone al pericolo in estenuanti viaggi ferroviari tra il capoluogo e Cefalù oppure in lunghi appostamenti nei bar più malfamati della città vecchia. Così limprobabile protagonista si trova invischiato in una storia non del tutto improbabile, dove girano non solo bionde esotiche e seducenti, ma anche mazzette di denaro da investire in affari edilizi. Non si capisce se Rosalino vorrebbe essere un detective da hard-boiled, come il Sam Spade del Falcone maltese o se gli basti arrivare alla fine del mese lavoricchiando per lagenzia investigativa del cugino. Comunque sia, alla fine, la figura di Rosalino giganteggia su tutto, con un respiro quasi epico, come un Don Chisciotte palermitano, un pícaro dei tempi moderni.
Gianfrancesco Turano, giornalista, è stato anche autore teatrale e, anni fa, ha vinto il Premio Ater Riccione con un testo che satireggiava la Milano da bere degli anni Ottanta e i suoi vizi modiaioli. Con Lultima bionda è al suo terzo romanzo. E tutti e tre, seppure in maniera diversa, assumono a eroi personaggi sgangherati e picareschi, che inseguono sogni venati di follia. Nel primo romanzo, Ragù di capra, il protagonista era un piccolo faccendiere milanese che decideva di impiantare una sua cosca privata nella Locride per fare concorrenza alla ndrangheta, sulla base di una sincera fiducia nelle leggi del libero mercato. Il secondo, Catenaccio!, raccontava lepopea di un allenatore di provincia, maniaco dei poemi omerici, che era riuscito a perdere 999 partite consecutive e ora si giocava la millesima immaginandosela come una battaglia dellIliade.
Per terzo arriva ora lingenuo Rosalino. Che, come Sancho Panza, ha al suo fianco un personaggio altrettanto sgangherato, lautista Melo Favara, padre di otto figli. La trama ha più di un risvolto surreale, il gioco degli equivoci si fa spesso grottesco. Ma, alla fine, nel contrasto fra il mondo di Rosalino e quello del suo indagato, il ricco ingegner Mineo, affiora anche un ritratto dellItalia di oggi, che già di suo ha molto di surreale e di grottesco.
Turano (classe 1960) appartiene del resto a una generazione per cui certi titoli della commedia allitaliana erano già classici a cui abbeverarsi, e uneco dei Soliti ignoti o dellArmata Brancaleone, ma anche dei Mostri, risuona in tutti e tre i romanzi. Dove si ride sempre, ma si ride amaro, in unatmosfera di disincanto («Esilarante e serissimo», è stato il giudizio, azzeccato, di un critico sulla scrittura di Turano). Disincanto a parte, il lettore ne esce comunque soddisfatto. Perché ormai (con tutto il rispetto per quel gentiluomo di Andrea Camilleri) iniziamo un poco a stufarci dei bravi questurini alla Montalbano.
Turano e il detective uscito da un tombino
Leroe per caso di «Lultima bionda» è un donchisciottesco lavoratore socialmente utile (per modo di dire...) che indaga in una Sicilia grottesca
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