Turchia, il Medio Evo dei delitti d’onore: a un’adultera mozzati naso e orecchie

L’avevano buttata in un campo. Sembrava un sacco vuoto, era un povero corpo martoriato, un ultimo, flebile sussulto di vita in una pozza di sangue e sofferenza . L’hanno rigirata, si son ritrovati davanti un volto scarnificato, il naso tagliato alle narici, le orecchie trinciate da due approssimative coltellate, il pube ferito dallo stessa impietosa lama. L’hanno portata all’ospedale, il più vicino, ma sempre così disperatamente lontano in quelle lande desolate dell’Anatolia profonda, della Turchia di Agri, tra quei villaggi al confine con Iran e Armenia dove i clan curdi e le loro regole son forma e legge. In quella forma s’inserisce l’orrore di quel corpo di donna mutilato e torturato, di quella femmina condannata al supplizio per aver commesso o solo immaginato l’adulterio.
Ma stavolta Y. A., come la chiamano i giornali turchi, è viva e la pena inflittale dai familiari del marito l’ha trasformata nell’icona dell’orrore, nel simbolo di quel medioevo che la Turchia si cova nel seno. Ed allora l’orrore fa discutere, indigna giornali ed opinione pubblica, rivolta le coscienze di quei «giovani turchi» che desidererebbero dimenticare quel medio evo per correre incontro all’Europa. Ma Bruxelles, come suggerisce la nuova messa sotto accusa dello scrittore Orhan Pamuk, come sussurra quest’ultimo rigurgito di barbarie, rischia di restare lontana. Nel 2005 proprio le sollecitazioni dell’Unione Europea avevano spinto il governo a cancellare le aberranti giustificazioni legate al cosiddetto omicidio d’onore.
Grazie a quelle attenuanti un padre che assassinava la figlia colpevole di rifiutare nozze combinate poteva contare su un’impunità quasi garantita. Lo stesso valeva per i mariti accusati di aver fatto fuori una moglie adultera. Oggi per il consiglio di famiglia colpevole di aver deciso e organizzato un delitto d’onore, o per i sicari scelti spesso tra i ragazzini minorenni del clan, scatta l’ergastolo obbligatorio.
L’orrore però non scompare, cambia solo nome trasformandosi da omicidio a suicidio d’onore. Per evitar le nuove pene il padre o il marito chiudono la donna svergognata in una stanza, le consegnano il cappio, l’arma o il veleno scelti per l’esecuzione e restano in attesa. La pressione spietata del clan familiare, la vergogna, la minaccia del disonore ottengono spesso il risultato e il numero degli omicidi/suicidi d’onore resta così fermo a quota 200 l’anno. In questo quadro della società turca, o almeno della sua parte meno sviluppata, rientrano le atroci menomazioni imposte alla povera Y.A. Stavolta la colpa era l’adulterio, ma anche qui bisogna far attenzione.

Quel che da noi si chiama tradimento in un villaggio curdo, in un ambiente fortemente islamizzato, ma isolato dove il Corano è lasciato all’interpretazione di imam fanatici e misogeni tradire significa anche soltanto aver rivolto la parola a un estraneo o, peggio, aver subito la violenza di un altro uomo.

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