Del Turco torna libero: «Chi mi accusa lo fa per evitare la galera»

L’ex presidente della Regione Abruzzo ha l’obbligo di dimora a Collelongo, suo paese natale. Per i giudici del Riesame c’è il rischio di reiterazione del reato

Del Turco torna libero: «Chi mi accusa lo fa per evitare la galera»

nostro inviato

a Collelongo (L’Aquila)

Presidente Ottaviano Del Turco, il tribunale del Riesame l’ha tolta dagli arresti. Niente più «domiciliari» ma solo «obbligo di dimora» a Collelongo, il suo paese. L’hanno spedita al confino...
«Un dolcissimo confino, qui è un paradiso. Mi godo la libertà ritrovata, una passeggiata in montagna, le visite a casa, gli amici che telefonano, anche quelli che non si erano fatti mai vivi durante la detenzione. Va bene così».
Per i giudici lei potrebbe ancora reiterare i reati
«Follia. E come potrei farlo visto che non ho più incarichi istituzionali?».
Che idea si è fatto di questa discutibile inchiesta sulla sanità privata che ha decapito la giunta abruzzese.
«Ai magistrati ho dato una spiegazione in tempi non sospetti. Ho detto loro che era in corso una battaglia tra un’idea riformatrice della politica regionale e un vecchio modo di concepire la politica. I miei tagli sulla sanità privata hanno scatenato i poteri forti. Ecco i risultati».
Vincenzo Angelini, l’imprenditore-pentito che accusa lei e i suoi uomini di aver intascato mazzette milionarie, è il braccio armato di questi poteri?
«Storicamente questo signore è stato un pezzo importante dell’immenso potere della sanità privata abruzzese. Non vi dimenticate che incassava una quantità di soldi spropositata fino a quando, anche a lui, abbiamo detto basta».
A suo avviso Angelini ha collaborato con la Procura di Pescara per evitare una galera certa?
«Certo! Per coprire i buchi della sua azienda e non andare in carcere per falso e bancarotta s’è inventato a tavolino questo meccanismo infernale. Io capisco che di fronte ad accuse così la procura non poteva non indagare, ma poi si sarebbe dovuta arrendere di fronte all’evidenza. Non c’è una prova, non hanno trovato un riscontro. La sua parola e basta. Continuano a dare credito a uno che ha detto che all’origine della sua disgrazia c’era una macchinazione guidata da De Benedetti e dal gruppo L’Espresso, da Fassino e dall’imprenditore Angelucci».
Angelini racconta, fra l’altro, di aver portato a casa sua mazzette da centomila in una busta, e di essere uscito con delle mele dentro. Ha anche fotografato i soldi...
«(Risata). Allora. Molte persone venivano a trovarmi per le questioni più disparate, e lui era tra queste. Le poche volte che l’ho visto si lamentava del fatto che la Guardia di finanza lo perseguitava e che i magistrati lo volevano arrestare. Quanto alle mele, se l’è inventato. Quanto alle foto consegnate ai giudici, questa è la dimostrazione che chiunque può far finire in galera chiunque. La cosa singolare che questo signore, abituato a registrare di nascosto tutto e tutti, viene da me e dagli altri indagati e si dimentica di spingere il tasto “play”».
La Procura sostiene che lei ha intascato 6 milioni di euro e che con quei soldi ha comprato tre belle case.
«(Altra risata). È stato dimostrato, anche grazie a voi, che non ho acquistato alcun appartamento, che ero sotto sfratto, che mio figlio ha dovuto accendere un mutuo per comprarsi una casetta alla Garbatella, e che per dargli una mano ho dovuto vendere i quadri che mi aveva regalato Mario Schifano. Altre case erano di miei amici, non mie. Una confusione incredibile. A questo punto bisognerebbe aprire un’inchiesta: come si fa a scrivere negli atti che avevo acquistato una casa a piazza Navona?».
Effettivamente poi dalle case comprate si è passati ai soldi nascosti all’estero, e che per questo la Procura non li trova.
«Ma quali conti all’estero, dove sono questi conti? Non esistono, ma di che parlano? È drammatico ragionare in questo modo. Piuttosto, cercassero i conti all’estero di Angelini. Sono lì quei sei milioni e tutti gli altri soldi, vedi certe sponsorizzazioni, scomparsi chissà dove».
Presidente, rientrerà in politica?
«Non ho alcuna intenzione di replicare l’esperienza in Abruzzo, però intendo continuare a essere un riformista a tempo pieno. Continuerò a livello nazionale. Posso decidere di lasciare la politica perché è la Procura che ha deciso in tal senso? Non lo accetto».
Continuerà in quel centrosinistra che al momento del suo arresto, con Veltroni in testa, non ha detto una parola?
«C’è un vecchio problema che riguarda la storia della sinistra di tradizione comunista. So bene che è un problema irrisolto della cultura democratica del Pd, per questo immaginavo ci fosse spazio per la nostra battaglia politica dentro quel partito. Ma se viene prima l’opinione di qualunque giovane sostituto procuratore della Repubblica, rispetto ai sacrosanti diritti costituzionali del cittadino, allora c’è qualcosa che non va».


Vede similitudini con l’azione giudiziaria dei tempi di Tangentopoli?
«Non voglio fare paragoni anche perché non sono Bettino Craxi. Eppoi non sono in esilio a Hammamet ma a Collelongo. E da qui, statene certi, combatterò. Io, Ottaviano Del Turco, non sono disposto a chinare il capo».

(gianmarco.chiocci@ilgiornale.it)

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