nostro inviato a Carrara
Siamo tutti Turigliatto, e forse anche un po' Mussi. Assume forme singolari, l'opposizione interna di Rifondazione comunista, nelle parole di Salvatore Cannavò e Gigi Malabarba, leader della componente trotzskista. Ma la sfida lanciata al gruppo dirigente, e di conseguenza a Prodi, è ambiziosa. Come nelle peggiori tradizioni marxiste, configura già l'esistenza di un ennemi à la gauche, un «nemico a sinistra», che possa intercettare il malcontento diffuso tra i militanti, enfatizzarlo, rendere ancora più complicato il rapporto di Prc con l'area socialista e post-ds.
Ma la politica è un vaso comunicante, i travasi stanno per cominciare, e dunque si balla. «Come Mussi non entrerà nel Pd - annuncia Cannavò alla Conferenza di Carrara -, noi non entreremo nella Sinistra europea, né parteciperemo al cantiere della Rifondazione socialista. Non sono però più i tempi delle scissioni...». La prospettiva è indicata da Malabarba: «Faremo un forum di opposizione e mobilitazione sociale contro questo governo e le sue scelte liberal-democratiche». Il senatore Turigliatto, ormai icona della protesta, «non voterà più la fiducia a Prodi». Un altro pezzetto della maggioranza si stacca dal mosaico. «Se si ritengono autosufficienti - precisa con malizia Cannavò -, affari loro. Dovranno conquistarsi di volta in volta il suo voto. Non sarà facile...».
Nell'enfasi trotzskista, «oggi ci sono due Rifondazioni: quella di governo, tesa al cantiere socialista; e quella in relazione con i movimenti, che vogliamo costruire assieme ad altri soggetti, dai Cobas di Bernocchi ai Disobbedienti di Casarini, dalla Rete XXVIII aprile di Cremaschi al verde Bulgarelli...». Ma è chiaro che tutto lo scacchiere di sinistra è in movimento, e molto dipenderà dalle mosse del Pd, di Mussi e di Giordano. Al segretario è toccato il compito ingrato di dolersi e «amareggiarsi» per l'«autoreferenzialità» dei ribelli, per la loro voglia «di non confrontarsi». Soprattutto di «approfittarsi di posizioni di privilegio iper-istituzionale». La pretesa, insomma, di mettere i bastoni fra le ruote al governo e al partito avvalendosi dei seggi concessi dallo stesso gruppo dirigente contestato. Ma se la sfida a rappresentare il variegato rapporto con i movimenti sembra davvero fuori dalla portata dei trotzskisti, è abbastanza fondato sostenere che dalla Conferenza organizzativa carrarese sta emergendo un partito profondamente scosso dalle nuove responsabilità di governo. Dopo Bertinotti, anche Giordano si è sforzato di ridurre la portata politica della trasformazione in atto, non accettata da molti dei quadri dirigenti che si alternano sul palco, denunciando «imborghesimento», «tradimenti di linea», «scelte indigeribili». «Per noi il governo resta un mezzo, non un fine», condivide Giordano. Aggiungendo di trovarsi assolutamente d'accordo con le posizioni della Cgil di Epifani, e chiedendo ancora una volta uno scarto al governo, che «non può permettersi uno sciopero generale sulle pensioni», ma deve puntare al «risarcimento sociale attraverso linnalzamento dei salari e delle pensioni minime, la lotta alla precarietà e una politica che rilanci la contrattazione nazionale, magari detassando gli aumenti salariali nei prossimi rinnovi contrattuali». Duro con Confindustria («Ci dicano che uso hanno fatto del cuneo fiscale»), Giordano attacca le tattiche dilatorie di Padoa-Schioppa e Visco («Inutile ributtare la palla in Parlamento, dicano loro come si può realizzare tecnicamente la tassazione delle rendite finanziarie»).
Meno stringente la sua idea di ricomposizioni future: la Sinistra europea è «un treno già partito che continua a viaggiare»; il cantiere è «un luogo di discussione, nel quale va costruita una cultura di sinistra con l'apporto di tutti, Fassino compreso». La sfida di Mussi e compagni, infine, desta «grandissimo interesse» e dovrà spingere alla costituzione di «un soggetto politico nuovo, con modalità decise assieme, nel quale ognuno manterrà la propria identità, anche a livello europeo». Dunque una parte starà nella Sinistra europea, un'altra nel Pse. Addio a falce e martello? La questione «irrita» Giordano. D'altronde l'intero problema dei «cantieri» non appassiona molto i partecipanti alla Conferenza. Più che interrogarsi sul dove andare e con chi, i quadri dirigenti preferiscono utopiche declinazioni di un «mondo diverso».
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