Turismo, il governo rimette la retromarcia

Fabrizio Ravoni

da Roma

Ieri novanta emendamenti. Oggi altri settanta. Il governo sta modificando ogni giorno la «sua» finanziaria con valanghe di emendamenti. Ed a volte riesce anche a correggere le correzioni. Come nel caso della tassa sul turismo. È assai probabile che oggi, o al massimo domani, il governo modificherà l’imposta di soggiorno con un nuovo emendamento sul tema. Mentre solo venerdì il ministro Rutelli aveva definito «inutili piagnistei» le critiche alla norma.
«Non c’è nulla di deciso, nulla di precluso - osserva Alfiero Grandi, sottosegretario all’Economia - siamo pronti a discutere». Ed aggiunge: «La tassa di soggiorno dovrebbe essere comunque mantenuta, lasciando ai Comuni la facoltà di decidere come applicarla». E un deputato della maggioranza spiega: «In un proprio documento i sindaci ci avevano chiesto l’introduzione di questa tassa. L’abbiamo fatto. Ed ora protestano. Non c’è problema. Invece di scrivere che i sindaci “devono” introdurre la tassa di soggiorno, vorrà dire che scriveremo “possono” introdurla. Ed il gioco è fatto».
Il «gioco» in questione è la legge finanziaria. La legge più importante di un governo che agli occhi degli ispettori del Fondo monetario internazionale (a Roma in questi giorni) sembra sempre più «un cantiere aperto».
L’incertezza sulla manovra, insomma, è sovrana: tasse che vengono e che vanno; misure annunciate e poi non tradotte in emendamenti; modiche annunciate che poi scompaiono o ricompaiono. Magari al Senato. Come per il 5 per mille. La misura che prevede una quota dell’Irpef pagata da devolvere al volontariato sembrerebbe rientrare nell’ordinamento normativo nazionale. Il condizionale è indispensabile. In quanto, Vincenzo Visco ha annunciato che per garantire il 5 per mille «ci sarebbe stata una copertura ponte verso il Senato». Insomma, aveva fatto capire il vice ministro, alla Camera si sarebbe creato un fondo con i 200-300 milioni necessari. E poi sarebbe stato il Senato a definire la norma. Immediata la smentita del presidente della Commissione Bilancio di Montecitorio. «Palazzo Madama cambierà la forma di copertura». Come a dire, tutto il merito del 5 per mille ce lo prendiamo noi deputati; ai senatori toccherà fare il «lavoro sporco» di individuare altri strumenti per coprire la norma.
Al Senato, però, i parlamentari della maggioranza stanno gradualmente alzando la voce nei confronti del governo. Hanno accettato di malavoglia la scelta di non presentare emendamenti, ma solo ordini del giorno al decreto fiscale. Ma fra questi ne stanno presentando alcuni che rischiano di avvelenare il clima già pesante nella maggioranza. Uno di questi è l’ordine del giorno che propone di cambiare il meccanismo che ha reintrodotto la tassa di successione.
E Giorgio Benvenuto, presidente della Commissione Finanze del Senato, è facile profeta quando commenta: «Non sarà una passeggiata» l’esame dell’aula di Palazzo Madama del decreto. La maggioranza si è impegnata ad approvarlo senza una sola modifica: il 3 dicembre decade il provvedimento. Ma la sua maggioranza è di un solo voto, sia in commissione sia in aula. Quindi, basta un solo voto contrario ed il decreto deve tornare alla Camera.
E le prese di posizione di Pallaro e di Rita Levi Montalcini accentuano le difficoltà interne alla maggioranza. Per non parlare del fatto che il decreto fiscale contiene la copertura per un pezzo della legge finanziaria. Quindi, se non viene prima approvato il decreto, la Camera non può licenziare la finanziaria, in quanto il provvedimento contiene norme che agiscono sui saldi di finanza pubblica. Ed i saldi originari del decreto sono stati modificati durante il passaggio alla Camera.

Giovedì il decreto approda all’esame dell’aula del Senato. All’appuntamento l’opposizione si presenta con un centinaio di emendamenti. Alcuni dei quali condivisi con la maggioranza. Tra questi la modifica della tassa di successione.

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