Controcultura

Il turismo è libertà. E gli islamisti vogliono fermarlo

Il passo che i fondamentalisti islamici devono fare contro il turismo e le sue manifestazioni esteriori è brevissimo

Il turismo è libertà. E gli islamisti vogliono fermarlo

Trasporti, turismo e tempo libero. Perché i terroristi colpiscono soprattutto questi settori della cultura occidentale. Dalla Tunisia, museo del Bardo e la spiaggia di Sousse, a Sharm. Dal Bataclan ai ristoranti all'aperto di Parigi. Dall'hotel in Mali alla piazza della Moschea Blu. E tutto iniziò con gli aerei dell'11 settembre e poi i treni di Madrid e la metro di Londra. La lista purtroppo potrebbe continuare a lungo.

«Tutte le azioni hanno in comune la centralità dei luoghi dell'OTT (ospitalità, turismo e tempo libero)» scrive Nicolò Costa in Turismo e Terrorismo jihadista per i tipi di Rubbettino (pagg. 122, euro 12). L'odio per lo svago, come bersaglio da colpire non è però una prerogativa del solo fondamentalismo islamico. Le sue radici sono decisamente nostre, europee. «I partiti di sinistra da fine ottocento alla seconda guerra mondiale, sostanzialmente avversarono i viaggi e lo sport perché spreco di energie e di soldi che i lavoratori non potevano e non dovevano permettersi per vivere in modo più autentico, cioè austero». E anche oggi gli intellettuali critici parlano di «disneyficazione dei musei (Salvatore Settis) e macdonaldizzazione della ristorazione» e così via, con quell'aria si sospetto verso ciò che è prodotto dal mercato. Si tratta di una critica marxista alla sovrastruttura capitalistica, che in Bauman (si è pure beccato un Nobel con la sua «società liquida») diventa addirittura un modo per continuare «il colonialismo occidentale mostrando il volto amichevole del potere». Bum. Se lo diciamo noi.

Il passo che i fondamentalisti islamici devono fare contro il turismo e le sue manifestazioni esteriori è brevissimo. Il nostro stile di vita, quello che Costa definisce «lo stile di vita del ceto medio mobile è odiato dai fondamentalisti e violentato dai terroristi perché queste persone appaiono felici, laicamente in movimento, quindi riversano su di loro invidia, risentimento, deliri di rivalsa e di onnipotenza, il tormento dell'infelicità».

Il libro di Costa è molto interessante. È incredibile trovare, ogni tanto, un sociologo che non sia figlio di quella cultura marxista praticamente monopolista di questa scienza sociale.

E l'approccio al terrorismo è originale: «Siamo chiamati a difendere i valori liberali veicolati attraverso le merci culturali dello svago ricreativo, del football, del turismo, dell'ospitalità commercializzata, dello shopping, della ristorazione, tutte tipiche invenzioni dell'occidente».

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