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Turisti rapiti a gruppi in Etiopia, sequestrata anche un’italiana

Rossana Piani è moglie di un funzionario del British Council. Più di venti persone sarebbero finite nelle mani dei predoni

Turisti rapiti a gruppi in Etiopia, sequestrata anche un’italiana

C’è anche una nostra connazionale, titolare di doppio passaporto italiano e britannico, in un gruppo di cinque turisti inglesi rapiti in Etiopia nella regione nord orientale dell’Afar. La donna è Rossana Piani, moglie di Michael Moore, direttore del British Council di Addis Abeba, che viaggiava con altri quattro cittadini britannici, tutti dipendenti dell’ambasciata inglese ad Addis Abeba.
La notizia del rapimento - che sarebbe avvenuto due giorni fa in una zona desertica e contesa dove sono attivi diversi gruppi di ribelli separatisti - è rimbalzata dalle agenzie di stampa con un primo flash nella mattinata di ieri. Assumendo con il passare delle ore le caratteristiche del giallo: sia per l’approssimazione delle fonti informative in arrivo dal Paese africano, sia per la sovrapposizione di almeno un episodio analogo: la scomparsa nella stessa zona di un altro gruppo di turisti, di nazionalità francese, poi ritrovati.
All’inizio sembravano due i gruppi di occidentali scomparsi: uno composto da sette francesi e quello dei cinque britannici, comprendente la signora Piani-Moore. Assieme a loro, mancherebbero all’appello anche tredici etiopi, otto secondo l’agenzia turistica - autisti, interpreti, cuochi e guardie private - ingaggiati dalle agenzie che organizzano queste spedizioni turistiche. Nel pomeriggio, ad aumentare la confusione aveva contribuito anche Samson Teshome, direttore del locale tour operator Origins Ethiopia. A suo dire «un gruppo composto da 10 persone» di nazionalità francese, partito alla volta del vulcano Erta Alè, si è rifatto vivo assicurando di stare bene e attribuendo la propria temporanea «scomparsa» al momentaneo guasto del loro telefono satellitare.
Buio se possibile più fitto sulla sorte dei cinque britannici che si trovavano in escursione nella regione desertica dell’Afar, divisa fra Etiopia, Eritrea e Gibuti e infestata dai ribelli separatisti. A dirsi subito convinto che si fosse trattato di un sequestro era stato l’ambasciatore francese ad Addis Abeba, Stephane Gompertz. «C’è stato un rapimento, questo è certo», aveva dichiarato subito, già nel primo pomeriggio, lasciando ai più flemmatici colleghi del Foreign Office la sola e prudenziale conferma della scomparsa dei cinque concittadini. Successivamente, però, è stato lo stesso ministro degli Esteri britannico, signora Margaret Beckett, a dover confermare che cinque degli occidentali rapiti «sono membri dello staff della nostra ambasciata di Addis Abeba, o loro familiari». Aggiungendo che il governo Blair ha deciso di inviare in zona un’unità di crisi di dieci persone. «Siamo già al lavoro in stretto contatto con le autorità etiopi attraverso il nostro ambasciatore ad Addis Abeba», ha affermato la Beckett riferendo che «a Londra, il sottosegretario per l’Africa, Lord Triesman, ha parlato con l’ambasciatore di Etiopia in Gran Bretagna. Entrambi stanno facendo il possibile per risolvere pacificamente la situazione. Ci stiamo anche coordinando con altri governi».
Fonti diplomatiche diverse infatti sembravano inizialmente accreditare l’ipotesi di due distinti casi di rapimento: quello del gruppo dei francesi e quello dei britannici. Poi un comunicato della polizia federale etiope ha eliminato i francesi per parlare di sequestro unicamente nel caso degli inglesi e degli etiopi. «Cinque europei e 13 etiopi - si legge nella nota - sono stati rapiti da uomini non identificati presso un accampamento nella regione di Hamed Ela, lungo la frontiere eritrea».
Di certo, al momento, rimane il fatto che non sia ancora arrivata alcuna rivendicazione. Va inoltre ricordato che nella stessa regione, nel 1995, un gruppo di nove turisti italiani era stato rapito dai guerriglieri dell’Arduf (Afar revolutionary democratic unity front).

Si trattò di un sequestro conclusosi poi fortunatamente in modo positivo, pur se dopo due settimane, soprattutto grazie alla paziente mediazione dell’allora ambasciatore italiano in Etiopia, Maurizio Melani.

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