«Tursi, disumanità conclamata»

«Tursi, disumanità conclamata»

«Farsa toponomastica». La definisce così Giuliano Ferrara, nel suo editoriale su «Panorama», la tremenda figura fatta dal Comune di Genova rifiutando l’intitolazione di una via a Fabrizio Quattrocchi. Perché se «a Roma una strada non si rifiuta a nessuno, a Genova no, i genovesi di maggioranza, in consiglio comunale, sono tirchi, hanno deciso di soprassedere, dopo tre ore di discussione accesa».
Sarebbe già sufficiente così, a stroncare una maggioranza ancora una volta lontana dalla città. Ma Ferrara entra nel merito, rilegge i testi degli interventi di chi si è opposto alla via. E ne sceglie uno, che lo sconcerta parecchio. Non è di un consigliere di Rifondazione, ma dei Ds. Gabriella Biggio in sala rossa, se ne usciva così: «I valori per cui si vive e si muore sono più importanti delle parole che si pronunciano quando si muore». Una frase che per Ferrara equivale a una «sentenza di campanile che comminava al mercenario la seconda morte, la scomparsa nella memoria». Un atto d’accusa che si fa ancora più pesante qualche riga dopo. «A questa spensierata dispensiera di valori in vita e in morte (la Biggio, ndr) sfugge il fatto, kantiano e non clericale - affonda Ferrara - che se il cielo stellato era sopra Quattrocchi e il suo aguzzino, la legge morale era in lui e solo in lui. E che dei criteri della vita di quell’uomo assassinato dai barbari in guerra, la consigliera comunale del tempo di pace non è giudice, semplicemente non ha la competenza». Le sue parole rivolte a Quattrocchi invece sono state «un atto di superbia ideologica e di disumanità conclamata, non una perorazione pacifista bensì un linguaggio da guerra civile».
C’è tutta la contraddizione della sinistra in questo commento di Quattrocchi. C’è anche nella kefiah, il fazzoletto tanto caro al mondo arabo che viene sempre indossato con orgoglio dal popolo no global e da quanti marciano in nome della pace. Perché, osserva Ferrara su «Panorama» ora in edicola, la kefiah la indossavano le «due Simone», le volontarie sequestrate dai ribelli e stranamente rilasciate con tanto di omaggio (una copia del Corano ben ostentata al momento del loro rientro in Italia). E una kefiah era avvolta attorno alla testa di Fabrizio Quattrocchi mentre veniva freddato con due colpi alla nuca. Ma anche se «la kefiah delle due Simone è quella di Quattrocchi», per il Comune di Genova le ragazze che non hanno neppure ringraziato il governo italiano che le ha liberate sono eroine, mentre Fabrizio Quattrocchi non merita neppure un vicoletto.


E così osserva ancora Ferrara: «A Genova, per una via intitolata a qualche ragazzo con l’estintore, ma non a Quattrocchi, sfileranno di nuovo in kefiah coloro che hanno disprezzato il bodyguard, il salariato della paura, il genovese che ha voluto morire inutilmente e gratuitamente in bellezza e che non sapeva come fosse scomparsa da tempo qui da noi la bellezza».

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