Tutta la verità su Woodcock, pm ammazza vip

L’ex sindaco di Campione d’Italia nel 2006 accusato di corruzione dal pm dei vip. "Mi dimisi da innocente, nessuno ha chiesto scusa". E' solo il primo di una serie di persone "rovinate" dal pm Henry John Woodcock che il Giornale racconterà

Tutta la verità su Woodcock, pm ammazza vip

Il Giornale inizia oggi la serie di interviste ad am­ministratori e personaggi pubblici vittime delle «inchieste show» del pm napoletano Henry John Woodcock. Storie di carriere e di vite rovinate da un magistrato col vizio del protagonismo.  

L’inizio è una sequenza da Scherzi a parte. Roberto Salmoiraghi esce dall’autostrada al casello di Como. Ha appuntamento con un amico, subito dopo una rotonda. Deve raggiungere in fretta il casinò di Campione, quel fazzoletto di terra affacciato sul lago di Lugano di cui è sindaco. È la sera del 16 giugno 2006 e sull’Italia sta per abbattersi l’ennesima tempesta: a scatenarla un pm di Potenza, John Henry Woodcock. Woodcock indaga su un torbido giro di prostitute e corruzione che coinvolge alcuni personaggi eccellenti e fra questi uno ancora più eccellente degli altri, uno che addirittura arriva dai libri di storia, una testa coronata, il principe Vittorio Emanuele di Savoia. «Ricordo che accostai e vidi due poliziotti che evidentemente mi aspettavano. Il tempo discendere e uno mi chiede: “Lei è Roberto Salmoiraghi?” Sì, sono io. “Lei è agli arresti”. Credevo fosse un gioco o qualcosa del genere».

Invece?

«Invece era tutto vero. La situazione era tragicomica. Ero in smoking, mia moglie, seduta accanto a me, era vestita con un abito da sera. Dovevamo partecipare a una cena di gala al casinò, era atteso anche il principe. E quelli a dirmi che ero in arresto».

Di che cosa l’accusava il Pm Woodcock?

«Un attimo. Lì per lì non si capiva niente, ma quando ho realizzato che non era uno scherzo mi sentii male e loro mi misero le manette, come a un delinquente. Una situazione terribile. Io guardavo Lia: “Lia, ma che succede? Sei sempre stata vicino a me, lo sai che non ho fatto niente”. Lei si era attaccata al telefonino, parlava con l’avvocato Massimo Dinoia, il nostro legale, che a sua volta continuava a ripetere: “Ma stai scherzando?”».

Non era uno scherzo. Le contestavano la corruzione e, nientemeno, l’associazione a delinquere finalizzata allo sfruttamento della prostituzione.

«Guardi, voglio essere sincero. Anche adesso, adesso che la mia innocenza è stata riconosciuta, adesso che si è stabilito che sono stato vittima di un clamoroso errore, anche adesso non riesco a dimenticare quei momenti. È stato uno choc troppo grande, uno choc che non si supera, una ferita che non cicatrizza. Woodcock mi ha rovinato la vita».

Torniamo al 16 giugno 2006. Le spiegarono finalmente il capo d’imputazione?

«So che potrà apparirle strano, ma il capo d’imputazione, chiamiamolo così, non l’ho capito nemmeno dopo».

Non le pare di esagerare?

«No, la Procura di Potenza intercettava una serie di personaggi che gravitavano intorno al principe. Uno di questi millantava di conoscermi. Così a colpi di intercettazioni, con il solito sistema del taglia e cuci, si erano fatti un’idea».

Quale?

«Pensavano che io procacciassi delle donne al Savoia e poi, in modo molto confuso, ritenevano che io fossi parte di un business per piazzare delle macchinette per il videopoker nel casinò, con successiva spartizione degli utili».

Ma lei conosceva Vittorio Emanuele?

«Mah. L’avevo visto due volte due, si figuri, perché avevo ricevuto un’onoreficenza di casa Savoia: l’ordine di San Maurizio e Lazzaro».

Insomma, che successe?

«Mi ritrovai in macchina, in mezzo a due poliziotti. Tutta la notte così, verso Potenza. E intanto la radio non dava requie: “Arrestato Vittorio Emanuele di Savoia, arrestato il sindaco di Campione Roberto Salmoiraghi”. Che incubo. Ma il peggio arrivò dopo».

Perché?

«Perché a Potenza mi misero in una cella piccolissima, in compagnia di ladri e assassini. Un ambiente indecoroso, sporco, vecchio, senza privacy. Così per 15 giorni, senza neanche la possibilità difendermi perché avevano perso le carte, i verbali, e non potevo leggere quel che mi riguardava».

Woodcock?

«Ci fu un lungo interrogatorio. Fui trattato come un delinquente, anche se ero innocente. Di più, non riuscivo nemmeno a raccapezzarmi in quelle carte. Dopo 15 giorni fui spedito, finalmente, agli arresti domiciliari. E qui ci fu un altro episodio tragicomico».

Tragicomico?

«Avevano stabilito i domiciliari a Campione, ma forse non sapevano che Campione è un enclave in territorio svizzero. Alla frontiera mi avrebbero arrestato. Così trovammo un compromesso a Legnano, dove ho un appartamento, ma anche lì fu uno strazio».

Perché?

«Mia mamma, 80 anni, mi salutava dalla strada perché c’era il divieto assoluto di comunicare anche con i parenti. Furono giorni dolorosissimi e intanto il mio mondo franava. Io sono medico chirurgo, avevo 56 anni e dopo una lunga preparazione avevo appena aperto uno studio a Lugano, mentre stavo chiudendo quello di Campione. L’arresto distrusse tutto: fui sospeso dall’ordine dei medici, persi la clientela, alla fine chiusi tutti e due gli studi, il vecchio e il nuovo. Non solo: dopo qualche settimana il prefetto di Como chiese la mia decadenza e allora, non avendo più alternative, mi dimisi da sindaco. Campione tornò al voto e si diede un nuovo primo cittadino, più spostato a sinistra».

Lei dopo quanto tempo ritrovò la libertà?

«Un mese dopo l’arresto. A quel punto Woodcock spedì le carte per competenza a Como e la Procura le lesse attentamente, poi archiviò».

Archiviò?

«Sì, senza nemmeno chiedere il mio rinvio a giudizio. Niente di niente, come era giusto che fosse. Tanto gravi erano le accuse che evaporarono prima ancora di un eventuale processo».



Oggi?

«Ho ripreso la mia attività di chirurgo e sono tornato alla politica: sono capogruppo del Pdl a Campione. Ma non sono più lo stesso e soffro ancora. Woodcock mi ha rovinato la vita, nessuno mi ha chiesto scusa, lo Stato se l’è cavata staccando un assegno da 11.500 euro. L’indennizzo per l’ingiusta detenzione».

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