Si spengono i riflettori. I familiari delle vittime si chiudono nelle loro case. Urlano tutta la loro rabbia sulla strada del cimitero, mentre vanno a deporre fiori sulle tombe dei loro morti. Scandiscono tutto il loro dolore come una promessa: «Nessun perdono». Hanno perso figli ammazzati da attacchi di gelosia, da furie omicide, da rancori inspiegabili. Il loro è il dolore, quello legittimo. Hanno subìto un torto irreparabile, tremendo, inspiegabile, che non trova comprensione o giustificazione. Poi, dallaltra parte in silenzio, ci sono gli altri padri, quelli dei carnefici. Quelli che un giorno, allora di pranzo, hanno sentito dellultimo caso di cronaca e si sono schifati di una società di delinquenti, di un mondo dove «vatti a fidare». Finché un giorno la polizia non bussa alla porta. E allora resta solo la vergogna.
Ezio è il padre di Davide, 18 anni, che con un colpo di pistola ha ucciso il benzinaio di Lecco. Ai familiari della vittima sussurra: «Vorrei essere io sottoterra, darei la vita in cambio della vita del vostro congiunto. Mi sento fallito come genitore». Gli occhi smarriti e pieni dangoscia sono quelli del padre di un assassino: «Perdonateci». Tenta di condividere con lui il gesto incondivisibile. «Mio figlio era un ragazzo normale. Davide ha sbagliato e pagherà, ma non è un delinquente». Giustificazioni a cui aggrapparsi con tutte le forze. Il baratro è lì: desolante, terrificante, come un deserto. Passano le immagini veloci, rapide, in successione, gira la testa: i primi passi, il primo giorno di scuola, un bambino timido, dicevano le maestre, gli amici, qualche canna scovata nelle tasche delle giacche al cambio degli armadi destate, le feste di compleanno, il morbillo, la varicella. Resta solo un senso tremendo di sconfitta e tradimento. Quel figlio a cui hai dato la vita che toglie una vita.
Il giorno dopo la condanna dei tre minorenni di Leno, nel bresciano, quelli che nel 2003 in branco hanno violentato e poi ucciso Desirée, la mamma di Nico continua a ripetere: «Lo hanno incastrato, la verità verrà fuori». Infatti. Colpevole. Toccherà al padre di Desirée cambiare casa. Non riusciva più a tollerare gli sguardi dei vicini. I genitori del branco assassino. «Speravo che se ne andassero loro per la vergogna. E invece...».
Michele Saponara ha passato una vita a difendere Caino. Ora siede al Consiglio superiore della magistratura. Racconta che i padri, di solito, non si dissociano dai figli. «Quando vengono dall'avvocato hanno già digerito la colpa di famiglia». Comprendono, difendono, trovano giustificazioni. Il futuro del figlio vale più del rimorso. «Molti dicono: deve pagare. Tanti poi dimenticano la colpa». Qualcuno nel nome del figlio cancella anche l'assassinio del padre e della madre. «Ricordo un caso di quattro o cinque anni fa a Chiavari. Il figlio aveva ucciso i nonni. Il padre ha pianto e poi ha perdonato».
Nel 1999 Stefano Diamante ha ucciso la madre dopo aver sniffato strisce di cocaina anestetizzanti. Troppe bugie lui, troppe pretese lei. Il raptus omicida scatenato dal regalo per una laurea che in realtà non cera. «Farò di tutto per stargli vicino», il padre di Stefano non ha nessun dubbio. Perché un papà lo è per sempre. Anche quando le cose vanno male. Il padre deve restare, e se serve remare da solo contro la corrente.
Fabio Roia è un giudice, in tribunale, a Milano, ha visto sfilare figli assassini e padri in lacrime. «Quando la vittima non è un parente quasi sempre si perdona. Il legame di sangue vince sulla morale. È più difficile riabbracciare il figlio quando la vittima è un altro figlio, la moglie, un padre o un fratello. Il padre di Erika è un caso raro». Eppure Francesco De Nardo ogni volta che va in carcere a trovare la figlia si fa coraggio e ripete: «Stai tranquilla, ce la faremo». Lui è uno di quei padri che non mollano.
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