«Tutti in campo» Ma i posti sono pochi

Il provveditore: «Poi affronteremo il problema dei benefici anticipati»

Laura Sonzogni

C’è chi è dentro da più di quindici anni e ha una moglie che si è rifatta una vita da dieci. Chi dovrà tornare da bambini diventati adolescenti e magari sorbirsi il mormorio del vicinato: «Ecco, è tornato il delinquente». Ma anche chi «fuori» non ha nessuno, nemmeno un vicino inopportuno. «Qualcuno certamente verrà a bussare alla mia porta - dice suor Maria, assistente volontaria nelle carceri milanesi e responsabile dell’associazione Zoè che si occupa del reinserimento lavorativo e familiare degli ex detenuti. «Ci sono persone che hanno affrontato un certo percorso e sono pronte all’ingresso in società - dice suor Maria - ma anche tante situazioni difficili, che spesso coinvolgono i bambini». Un provvedimento studiato per porre rimedio ad un’emergenza, quella legata al sovraffollamento degli istituti penitenziari, rischia di scoperchiare un enorme vaso di Pandora: «Esce la gente, ma dove va - si chiede Pierfelice Peruzzi, dell’associazione “Il bivacco” -? Noi gestiamo attualmente sette appartamenti, tra Milano e Melegnano. Probabilmente riusciremo a renderne disponibili un paio». Un’accoglienza per sette-otto persone, a fronte delle centinaia di detenuti che, tra pochi giorni, rischiano di trovarsi sulla strada. Il mondo del volontariato è pronto a mettere in campo le sue risorse, ma i numeri non lasciano ben sperare. Uno su tutti, i 52 posti letto del progetto «Un tetto per tutti», promosso dal Comune di Milano per accogliere i detenuti destinatari di permessi e misure alternative alla detenzione. Praticamente tutti occupati e - indulto a parte - già contesi dai molti carcerati in lista d’attesa.
Luca Massari, responsabile dell’area carcere della Caritas milanese, modera i toni: «I numeri sono alti, ma non parlerei d’emergenza - dice al termine dell’incontro al provveditorato delle carceri.

L’esito più importante, secondo Massari, è la creazione di un tavolo tecnico tra istituzioni, carceri e terzo settore per creare percorsi di socializzazione personalizzati per chi riacquista la libertà. «Crediamo - ha detto Massari - che l’indulto debba essere lo spunto per dare possibilità concrete a chi, diversamente, rischia di tornare a delinquere».

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