Politica

Tutti i bidoni di Walter Comprereste un’auto usata da lui?

«Comprereste un’auto usata da quest’uomo?». Con questa domanda retorica, i democratici americani affrontarono una dura campagna elettorale contro quel bugiardo di Richard Nixon. Da allora la frase è diventata l’invettiva principale per sanzionare i comportamenti scorretti in politica ovvero la parola data e non mantenuta. Forse oggi i radicali italiani dedicherebbero a Walter Veltroni lo stesso interrogativo. Marco Pannella, raccontano Emma Bonino, Marco Cappato e Maurizio Turco, «fu escluso dalle liste politiche perché più adatto alle Europee». Goffredo Bettini, plenipotenziario di Walter, avrebbe addirittura fissato la quota di voti che il capo dei radicali avrebbe avuto dal Pd: duecentomila preferenze. Oggi i radicali temono di aver comprato un’auto usata dal rivenditore sbagliato. Un incidente di percorso o il rivenditore è solito dare «fregature»?
Veltroni è uno che promette e non mantiene. Quando lasciò la segreteria dei Ds per diventare sindaco di Roma si impegnò a lasciare la politica per andare in Africa all’indomani della fine del suo mandato. È ancora qui con noi. Ma ci sono altre promesse non mantenute che rendono bruciante il dossier Veltroni. Qualcosa potrebbe dire Sergio Cofferati, se avesse voglia di raccontare i suoi difficili ultimi anni. Potrebbe dire che poco prima di lasciare la segreteria dei Ds, alla vigilia delle elezioni del 2001, Veltroni gli promise di aiutarlo nella battaglia per conquistare la guida del partito. Veltroni se ne andò in Campidoglio e il povero Cofferati dovette battersi da solo contro D’Alema e Fassino. Nella genesi dei girotondi e della stagione più calda dell’ultimo partito di sinistra c’è la storia di questa promessa data e non mantenuta.
Il «cattivissimo» Massimo D’Alema, che oggi sulla stampa viene presentato come l’antagonista immotivato del leader del Pd, potrebbe ricordare l’accordo che portò Walter a fare il numero due di Romano Prodi. Fu una scelta coraggiosa. Due uomini nuovi per celebrare una sinistra che aveva voltato pagina. Ad uno era affidato il compito di governare il Paese con l’esperienza di economista e di grand commis dello Stato, all’altro il ruolo di garante del partito più grande alle prese con un’esperienza storica. Il povero D’Alema, dopo pochi giorni, capì che Walter aveva cambiato cavallo e si era alleato con Prodi per ridurre il peso dei partiti, finanche il suo, e dare vita a una nuova leadership incentrata sulla coppia di Palazzo Chigi.
Anche a Pietro Folena, funzionario di lungo corso dell’ultima covata di figicciotti, è toccato in sorte di vedersi abbandonare da Walter. Siamo a ridosso della campagna elettorale del 2001, quella che riportò al governo Berlusconi dopo i cinque anni di centrosinistra, e Folena ambiva a diventare segretario del partito dopo che Walter scelse di correre come sindaco di Roma. Folena si aspettava di essere messo su una rampa di lancio, pensò di condividere l’ultimo miglio con un Veltroni impegnatissimo a racimolare voto su voto per evitare o ridurre il peso della sconfitta. Nisba. Veltroni sparì nei quartieri di Roma e Folena dovette vedersela da solo con un D’Alema incattivito dalla sconfitta. Carriera finita.
Siamo ai giorni nostri. Veltroni torna in politica e diventa plebiscitariamente segretario del Pd. La sua parola d’ordine è semplice: «L’Ulivo ha fallito, faremo da soli». Pochi mesi dopo, si presenta alle elezioni con Di Pietro. Ancora. Siamo a poche settimane fa. Situazione di stallo per la vigilanza Rai e per la nomina del giudice costituzionale. Il Popolo della Libertà rinuncia a Pecorella e cambia candidato. Il Pd tiene duro su Orlando. Intanto gli emissari delle due parti continuano a trattare sulla Rai. Spunta un accordo che prevede alla Presidenza Rai Pietro Calabrese, valido professionista della carta stampata, e alla direzione generale Stefano Parisi, amministratore di Fastweb, universalmente stimato. Una mattina tocca a Gianni Letta comunicare a uno stranito Goffredo Bettini che Veltroni, scavalcando il suo plenipotenziario, si è rimangiato l’accordo e torna a puntare su Petruccioli malgrado abbia giurato che mai più un ex parlamentare potrà assurgere alla guida dell’emittente pubblica.
In qualche modo è successo anche a me di avere vantaggi e fregature da Walter. Ricordo un solo episodio, fra i tanti. Paolo Gambescia lasciò la direzione dell’Unità, in cattive acque dopo l’esperienza di Mino Fuccillo, e Veltroni mi propose di riprendere la guida del quotidiano da cui ero stato allontanato con un «motu proprio» di Massimo D’Alema due anni prima. Tutti mi sconsigliarono. Troppo rischioso. Io accettai la sfida perché Veltroni e Folena mi giurarono che se non si fossero trovati acquirenti il partito avrebbe salvato il giornale. «Non chiuderemo mai», mi dissero solennemente. Pochi mesi dopo, in un brutto pomeriggio di inizio estate, mentre era in corso un’assemblea di redattori, mi fecero comunicare dall’amministratore straordinario che era tutto finito.

Tutti a casa e tutti disoccupati. Allora, la comprereste un’auto usata da uno così?

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