Tutti gli impresentabili nelle liste di Casini

Il problema è che sui sepolcri imbiancati lo sporco ostinato risalta troppo. Riesci a nascondere qualche macchia giusto se ti scegli un pavimento screziato. Ma se ti dipingi come il castigatore dell’immoralità e ti vanti di poter purificare le liste elettorali così che pare di stare a metà strada tra il Paradiso e una sala operatoria, poi non puoi nascondere nemmeno una briciola. Così, se si trova della polvere, qualcuno si lamenterà di certo dei tuoi detersivi.
È più o meno quanto sta accadendo in casa Udc, dove da mesi si va vestendo la classe dirigente con la virginea cotta dei chierichetti, salvo poi accorgersi che nei banchi in fondo c’è chi bestemmia, dice parolacce e si mette le dita nel naso. «La questione etica prima di tutto», tuonava il segretario Lorenzo Cesa (quello che propose di dare qualche eurino in più ai parlamentari affinché corressero dalle rispettive famiglie prima che i pruriti li costringessero a ricorrere al meretricio romano); «in Campania liste squallide, voglio più pulizia», faceva eco il leader Pier Ferdinando Casini; «verifica severa delle condizioni di legalità e moralità» dei candidati, ripeteva il coro delle voci bianche centriste. «Un partito serio, disponibile al confronto, nella misura in cui, alternativo, aliena ogni compromesso», avrebbe detto Rino Gaetano. Peccato che - a ben grattare - sotto il candore qualche zacchera ci fosse.
La prima prova del fatto che Udc non lava più pulito è la ricomparsa di un alone che non sparisce nemmeno con la varechina. È Cosimo Mele, l’ex parlamentare centrista che nel 2007 pensò bene di fare da testimonial ai valori del suo partito facendosi beccare in una stanza di albergo a Roma mentre la procace escort «Pocahontas» finiva mezzo collassata all’ospedale a forza di giocare a sniffa-sniffa. Mele si dimise e l’Udc lo dimenticò. Fino a poche settimane fa, quando «Mimmo» ha annunciato la sua candidatura nella lista di «Io Sud» che sostiene in Puglia Adriana Poli Bortone. Guarda caso, lo stesso candidato dell’Udc. Ed ecco che magicamente l’immacolata elezione sbandierata da Casini diventa un po’ meno nivea e mezzo partito si straccia le vesti annunciando che piuttosto voterà Vendola.
Anche in Campania il detersivo Udc lascia a desiderare e si ripropone il dilemma: «Qualità senza risparmio o risparmio senza qualità?». Alla faccia dell’autoregolamentazione dei candidati, nessuno si era peritato di vagliare la posizione di Luigi Cassandra, assessore di Trentola Ducenta. Il quale due giorni fa è stato preso per un orecchio dalla questura come un bulletto di paese e «avvisato»: piantala di frequentare gente vicina ai Casalesi o finisci nei guai. Come se non ci fosse già finito in precedenza, dato che il Cassandra ha alle spalle indagini per truffa, ricettazione, minaccia e insolvenza fraudolenta. Però l’autocertificazione l’aveva firmata, lui. Per i vertici dell’Udc (da cui ora è stato sospeso e ritirato dalla competizione elettorale) questo bastava ad assicurargli la beatificazione.
Detergente casiniano un po’ inefficace anche in Basilicata, dove l’Unione di centro sostiene il governatore uscente Vito De Filippo, indagato per favoreggiamento in una vicenda di tangenti. E dato che «niente lava meglio», a sostenere De Filippo c’è pure Luigi Scaglione, della lista «Popolari uniti», a sua volta indagato per concorso esterno in associazione mafiosa. Qualche imbarazzo condito di ombre anche in Umbria, dove nelle liste Udc fa capolino Giulio Cozzari, ex presidente della Provincia di Perugia la cui giunta fu decimata da uno scandalo di appalti.
Insomma, prelavaggio fallito. Neppure la lisciva dell’Udc è riuscita a produrre intonse liste di santi privi di procedimenti a carico. Il che non sarebbe grave in un Paese dove non si è colpevoli fino a condanna definitiva e dove non si ragiona da ayatollah delle Procure.

Diventa grave, invece, se ad inciampare nel fango è chi - come l’Udc - usa alternativamente soda caustica e acqua di rose: intransigenza coi candidati Pdl sfiorati dalla giustizia, bonario garantismo con i propri. Perché non si è mai sentito di un giustiziere a intermittenza. E perché a forza di «lava più bianco» si rischia di ridurre tutti i propri appelli moralisti a «dieci piani di morbidezza».

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