Tutti gli indizi di un delitto senza cadaveri

Il sangue, il foro di un proiettile, il messaggio del marito ricercato: quello di Como è un rompicapo

Andrea Acquarone

da Como

Quindici giorni dopo è tutto come prima. Per un giallo dalle tinte color sangue ma dove manca ciò che servirebbe perlomeno a cominciare. Ovvero la prova dell’omicidio: non c’è un cadavere (o meglio non lo si trova); non c’è l’arma del delitto (ipotizzato) né tantomeno l’unico sospettabile che potrebbe averla impugnata.
Tutti eclissati, come vaporizzati nell’aria umida di questo fino novembre sulle sponde del lago di Como.
Da martedì 14 novembre Adalgisa Montini, operaia alla Falk di Dongo e il suo quasi ex marito risultano «missing». Lei era uscita all’alba per andare al lavoro, ma in fabbrica non la vide nessuno e a casa dei genitori, dove abitava da circa un anno - da quando cioè si era separata- non ha fatto più ritorno. Anche di lui, quarantacinquenne dai modi burberi, uomo dai mille mestieri purché non lo rinchiudessero in fabbrica o in ufficio, a Garzeno si è persa ogni traccia. I carabinieri sono convinti che abbia eliminato quella moglie che di ricominciare non voleva più saperne. L’avrebbe ammazzata sparandole con la sua calibro 7.65. Dall’abitazione la semiautomatica è sparita. Come lui.
Omicidio-suicidio? Così si ipotizzò all’inizio, quando venne ritrovata la Fiat «Seicento» della donna. Era nel garage di Martinoni. E all’interno indizi più che inquietanti: macchie di sangue, residui di materiale organico e soprattutto il foro di un proiettile.
I sub scandagliano il lago, guardie forestali, volontari e militari, battono palmo a palmo i boschi della zona alla ricerca del cadavere. Anzi dei cadaveri. Nulla.
L’ultimo a vedere l’ex alpino alle 5.30 di quel giorno, fu il cognato. Usciva di casa. Achille Martinoni, capace di indossare i panni del giardiniere, boscaiolo, vaccaro, alpigiano, al suo ultimo datore di lavoro, recentemente, l’aveva confidato. A denti stretti, cupo in volto: «Un giorno di questi la farò grossa».
In quindici giorni di ricerche vane ora cambia solo lo scenario delle ipotesi. Gli inquirenti ipotizzano che dopo aver ammazzato Adalgisa e averne occultato il corpo potrebbe aver voluto depistare le indagini. Niente suicidio, insomma. Lui sarebbe vivo, forse fuggito all’estero. Lo cercano un po’ dappertutto, a comiciare da quel Cantone dei Grigioni dove da bambino faceva il pastore. E si va fino alla Romania oltreché in tutti quei luoghi dell’Italia familiari al «fuggiasco».
Il biglietto indirizzato alla figlia quindicenne, lasciato nella sua auto abbandonata a Montespluga, al confine con la Svizzera, lascia aperto ogni interrogativo. «Ho dovuto farlo, tua madre mi ha rovinato la vita. Se un giorno ti sposassi non fare i suoi stessi errori - scrive Martinoni -. Me ne vado, ma tornerò». Poi la contraddizione: «Non ti disperare perché a te ci penserà lo zio Giacomo. E tua madre sta bene». E infine, a quanto pare una minaccia, stavolta nei confronti di un cognato e di un cugino con il quale Adalgisa aveva stretto particolare amicizia. Aurora, la sorella di Adalgisa Montini, ha paura: Fino a quando non lo trovano vivrò nel terrore»..
Achille, insomma, davvero, pronto a tornare. Per uccidere ancora.
Il cerchio, comunque, non quadra. Come le parole di un paio di testimoni. Uno sostiene di di aver visto l’ex alpino dalle parti di Bormio. «Un tipo strano che faceva strane domande». E a ingarbugliare ulteriormente la situazione, c’è una donna, una collega di lavoro di Adalgisa. Lei è convinta di averla incontrata, alla guida della sua Seicento, il pomeriggio del 14 novembre mentre percorreva la stradina che porta verso l’abitazione dei genitori: «Credevo che stesse tornando a casa dal lavoro», ha spiegato ai carabinieri. Ma a quell’ora non doveva essere già stata uccisa?
Ora i militari stanno frugando in un canneto nella zona di Sorico, tra le province di Lecco e Sondrio. Il cadavere potrebbe essere lì. Ma contemporaneamente i sub si immergono nelle acque della diga Edipower, a Montespluga. Freddo, buio e zero tracce, non aiutano.

Così come la scoperta dei progetti del presunto assassino. Cinque giorni prima di volatilizzarsi si trovava a Bellinzona (Ticino) con la documentazione necessaria per chiedere un aumento dell’assegno di invalidità.
Strano che un aspirante killer pensi a simili dettagli.

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