Tutti pazzi per sexy Gianfranco «Bellissimo e abbronzatissimo»

GenovaTanto per dire, i due esponenti genovesi di An Giorgio Bornacin e Gianni Plinio - che erano già amici di Fini quasi quarant’anni fa, uno l’ha voluto addirittura testimone di nozze - sono andati a salutarlo all’aeroporto: «Gianfranco, lo sai. Noi a quella Festa non metteremo mai piede».
E, tanto per dire, appena il presidente della Camera mette piede nel salone dei dibattiti della Festa Nazionale del Pd al Porto Antico di Genova, è accolto da un’ovazione. Anche il format dell’intervista pubblica si presta: passerella stile Maurizio Costanzo Show dei tempi andati, auricolare alla bocca e quando il direttore del Tg2 Mario Orfeo lo presenta, sembra di essere a un concerto di Vasco Rossi, quando lanciano il chitarrista: «Bellissimo, abbronzatissimo...». Abbronzatissimo, Fini lo è per davvero. Bellissimo pure, almeno per le signore del popolo del Pd: «Ma che portamento, ma che bell’uomo, e che belle idee...».
Insomma, un trionfo. Se non ho sbagliato il conto all’applausometro, il presidente della Camera raccoglie dodici ovazioni, alcune cingolate. E il suo contraddittore che dovrebbe giocare in casa, l’ex presidente del Senato Franco Marini, che è del Pd, sembra quasi la spalla della situazione, uno sparring partner per il nuovo campione dei Democratici.
Piace, piace così tanto «il nuovo Fini», come lo definisce L’Unità, che riesce a prendere applausi persino quando plaude alla sentenza della Corte Europea sul caso Giuliani: «So che probabilmente non sarete d’accordo. Ma io sono felice che sia stato definitivamente riconosciuto che quel carabiniere ha agito solo per legittima difesa». E invece sono d’accordo: applausone anche su questo.
Le altre ovazioni sono più scontate. Perché il presidente della Camera interpreta al meglio il ruolo degli ultimi mesi. Quello del guastatore «illuminato» e illuminista del centrodestra, che esprime una linea quantomeno diversa, quando non opposta rispetto ai suoi compagni di maggioranza. Metti il testamento biologico. Pdl e Lega, con anche voti dall’opposizione, hanno approvato una legge: «Io farò quello che posso fare per correggere il testo uscito dal Senato. Le leggi non le decide il Vaticano, le decide il Parlamento. Se qualcuno è convinto del contrario, quello è un clericale più che un cattolico. E ai clericali dico che le leggi le fanno le Camere: sono i fondamentali della cultura giuridica. E, fra l’altro, su casi di coscienza, come il confine fra la vita e la morte, non possono esistere vincoli di maggioranza, né di partito».
Fini parla esplicitamente di «sassolini che si toglie dalle scarpe», ma a tratti più che di sassolini, si tratta di macigni. E il destinatario, spesso e volentieri, è la Lega. A partire dal reato di immigrazione clandestina e dalle ronde, definite da Franco Marini «la peggiore scorciatoia». Fini non lascia, raddoppia: «Cose tutte condivisibili...», con coda velenosa «...almeno da me». E segue un attacco al Pdl, «nella cui nascita, pure, ho avuto un qualche ruolo»: «Mi auguro che il Pdl comprenda che, se sui temi dell’immigrazione si limita a produrre una politica che è la fotocopia rispetto all’originale, che poi è la politica della Lega, da che mondo è mondo l’originale è più gradito della fotocopia. Noi dobbiamo affinare l’approccio».
Non usa toni istituzionali, Fini. Non parla con il detto e non detto che spesso caratterizza chi occupa lo scranno più alto di Montecitorio e di Palazzo Madama. No, l’ex leader di An entra a piedi uniti nella politica: e mette sotto accusa soprattutto la Lega, senza però risparmiare il Pdl. Magari, gli attacchi a Berlusconi sono più sfumati, indiretti. Ma ci sono. Le parole più dure sono per le norme, «infatti poi cambiate» che negavano ai clandestini il diritto ad essere curati: «Credo che ripugni alla coscienza di ogni essere umano. Prima di tutto, regolari o no, sono persone». E poi, in continuazione, un continuo riaffermare la «scuola di Marcinelle», il discorso in cui lui stesso ha ricordato come gli italiani fossero stati i primi migranti: «Allora, non esisteva la parola extracomunitario, ma il concetto era quello. Serve una linea fermissima contro le politiche discriminatorie e vagamente razziste». Basta? Non basta: «Ho l’impressione che la Lega, a volte, affronti il problema guardando nello specchietto retrovisore». E meno male che c’è già stata la smentita alla Padania sul concordato: «Doverosa». Certo, poi, c’è spazio pure per il «ma anche»: «L’eccessivo lassismo può generare xenofobia nelle fasce più deboli».
Lo specchietto retrovisore è una fissa del «nuovo Fini»: «Non so cosa farmene di una società ideologica che ragiona secondo i vecchi schemi di destra e sinistra».

Applaudono tutti, applaude anche il vecchio militante del Pd Gianfranco Fini che mostra all’altro Fini la sua carta di identità. Il documento ha come serie An e Gianfranco sorride: «Vede, non ci sono più gli steccati, lei non può essere del Pd». È il riassunto di una giornata.

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