Tutti in piazza contro il premier

Ondata di scioperi contro il governo. Oggi si bloccano i Tir e gli anestesisti. Dagli operai ai giudici, in 18 mesi la protesta è stata globale

Tutti in piazza contro il premier

Milano - Questo governo è riuscito a mettere d’accordo gli italiani su una cosa: lo sciopero. Mai, nella storia repubblicana recente, un esecutivo era riuscito a scatenare la rabbia di quasi tutte le categorie professionali e no di questo Paese. Prodi ce l’ha fatta in un tempo relativamente breve, appena 18 mesi. Probabilmente riuscirà anche nell’incredibile impresa di «battere» il governo Berlusconi, che dal 1° gennaio 2005 al 30 giugno 2006 aveva subìto 1.590 proteste di rilevanza nazionale, cioè quasi 3 scioperi al giorno. Oggi, per esempio, la media sarà perfettamente rispettata. In piazza infatti ci saranno i medici anestesisti rianimatori dell’Aaroi, contrari all’istituzione di una Scuola di specializzazione in Medicina d’urgenza che li farebbe scomparire; gli autotrasportatori che paralizzeranno la circolazione stradale fino a venerdì, stanchi di aspettare la convocazione del ministro delle Infrastrutture Alessandro Bianchi (poi fissata a domani, ndr); i giudici di pace, che metteranno in ginocchio la macchina della giustizia per cinque giorni per ricordare al governo le promesse fatte su autonomia, stipendi e previdenza.
La paralisi di trasporti, sanità e giustizia che si annuncia è solo la punta dell’iceberg di un malessere diffuso in tutti gli strati sociali ed economici del Belpaese. Basti pensare all’elenco sterminato di chi ha scioperato per reclamare un diritto negato: statali, insegnanti, metalmeccanici, toghe onorarie, commercialisti, avvocati, commercianti, imprenditori, panificatori, vigili del fuoco, forze dell’ordine, metronotte, studenti universitari. E ancora sindaci, specializzandi, precari, autoferrotranvieri, imprese di pulizia e terziario, farmacisti, persino magistrati.
Quelle piazze che una volta erano terreno privilegiato di lotta politica per la sinistra si sono rapidamente trasformate in un grimaldello pronto a scardinare le porte del Palazzo nel quale il governo sembra essersi asserragliato. L’ultimo blitz è stato quello tentato dai metronotte il 4 dicembre scorso, quando le guardie giurate hanno cercato di entrare a Montecitorio, disperate per uno stipendio decurtato del 40% e per uno spettro della precarietà che si avvicina sempre di più.
Nella tragedia dell’Italia, unita solo in piazza, si è anche registrata la farsa di una maggioranza che ha preso le distanze da se stessa. L’apice si è registrato il 19 ottobre scorso: 150mila persone a sfilare per Roma «per i diritti, ma non contro il governo». In testa il segretario Prc Franco Giordano e il leader Pdci Oliviero Diliberto, mentre i ministri Pecoraro Scanio, Ferrero e Bianchi erano stati «esonerati» dal presidente della Camera, Fausto Bertinotti.

Le avvisaglie di un esecutivo alla frutta erano già nell’aria, la nascitura Cosa rossa aveva sentito aria di disfatta e iniziava a prendere le contromisure. Chi invece non vuol sentire, né vedere un Paese stufo di lui è il presidente del Consiglio.
felice.manti@ilgiornale.it

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