Tutti quei luoghi comuni dei sinistri indignados

Fo, Eco e Zagrebelski arringano una platea "agè". Ma dai giustizialisti arrivano solo slogan e insulti

Tutti quei luoghi comuni 
dei sinistri indignados

Milano - Una parata di luoghi comuni sotto l’Arco della Pace. È la solita sinistra, solo sempre più agé, che ripete in piazza le stesse invettive già ascoltate chissà quante volte nei salotti bene dal ’94 in poi. Il rituale è sempre quello: si attinge a piene mani ai pozzi dell’antiberlusconismo e si mettono in fila tutte le figurine che scaldano i militanti con i capelli grigi e qualche raro cartello fra le mani. Ecco la Costituzione, srotolata come la Bibbia, e la guerra partigiana, perfetto fondale per la Resistenza anti Cavaliere; ecco la commemorazione delle povere donne di Barletta, vittime del lavoro nero, morte, anzi «uccise» nel crollo di una palazzina, come afferma l’infaticabile Luisella Costamagna, conduttrice della giornata in stile inviata di Santoro. E poi ci sono i richiami alla legge bavaglio, la voglia di manette, le citazioni del bunga bunga.
«Ricucire l’Italia», è il titolo della kermesse, anzi della maratona che si protrae per ore e ore, con un catalogo, più che un parterre di relatori, alto così, da Giuliano Pisapia a Gustavo Zagrebelsky. Lo storico Paul Ginsborg ha informazioni di prima mano: «In Italia c’è un regime. La democrazia è stata deformata dal conflitto d’interessi. Ora è il momento della rivoluzione, una rivoluzione dal basso, pacifica e democratica». Vengono evocati l’Egitto e la Tunisia, la primavera araba. I ventimila - ma la stime come al solito divergono - applaudono e per un attimo pensano di essere in piazza Tahir al Cairo.
Hanno tutti fretta, i presenti. «È ora che questo governo vada a casa - spiega Onorio Rosati della Cgil - noi con questo esecutivo non vogliamo avere niente a che fare». Basta, una stagione è finita, anche se Berlusconi ha ancora, casualmente, la maggioranza dei voti. I sacerdoti dell’antiberlusconismo vogliono celebrare a tutti i costi un funerale annunciato troppe volte e sempre rinviato. Del resto il senso è quello: tempo scaduto per il tiranno. Dario Fo racconta la caduta di una statua colossale, che rischia di travolgere i cortigiani costretti a una fuga precipitosa. Fo imita addirittura suoni e ritmi del tonfo. È un sogno - spiega - ma non deve rimanere un sogno, dobbiamo darci da fare», ormai nelle mosse del Cavaliere il premio Nobel intravede una pantomima alla Buster Keaton. Insomma, si festeggia il 25 aprile, ma aleggia sempre il solito sospetto che il Cavaliere riesca a sopravvivere anche a questa crisi. Ma no, non è possibile, quest’Italia berlusconizzata è una caricatura, una barzelletta, una iattura. Pure Pisapia, acclamato come una star, assicura che così non si può continuare: «La domanda che accomuna gli amici stranieri è sempre la stessa: perché gli italiani si tengono questo governo? Noi - rassicura il sindaco - gli daremo una risposta. L’Italia cambierà e sta cambiando».
Un lirico Roberto Saviano invoca attraverso un videomessaggio il «diritto alla felicità» e capovolge uno dei troppi luoghi comuni raccontando che «spesso il lavoro nero è l’eccellenza del sistema Italia». È un attimo. Umberto Eco si immerge negli stereotipi, inviando una lettera in cui suona la sveglia alla società civile per risolvere il solito intraducibile problema che arrovella il resto del mondo: «Anche all’estero devono capire che l’Italia vera siamo noi». E non chi la governa nello sdegno e nello sberleffo universali. Tocca al presidente emerito della Consulta Gustavo Zagrebelsky chiudere l’happening quando ormai il pomeriggio si fa sera. E il giurista dosa malinconia e euforia: «Non dobbiamo fermarci ai 20 anni della nostra vita che non ci saranno restituiti, ma procedere oltre perché si sta avvicinando il giorno in cui Berlusconi sarà abbandonato anche dai suoi». Ovvero, fino a prova contraria, dalla maggioranza degli elettori. Ma questi sono dettagli. La piazza freme, aspetta con ansia il futuro che si fa attendere e intanto carica tutti i guai del presente sulle spalle del nemico: crisi economica, precariato, rifiuto della legalità e via elencando tutte le sciagure possibili e immaginabili.


Finisce la manifestazione e tocca a Marco Travaglio, intervistato a bordo palco da Sky, riportare tutti alla realtà: «Di questo governo, che ha approvato 18 condoni, non ci fidiamo, ma l’opposizione è quasi inesistente. E queste manifestazioni riescono quando non sono organizzate dai partiti».

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