Larry King (dopo venticinque anni di sagaci amplessi col microfono e oltre cinquantamila interviste), in America grida alla fine dei talk show; il direttore del Tg di La7, Enrico Mentana e il conduttore del Chiambretti Night, Piero Chiambretti, qui da noi, scommettono invece sulla longevità del genere; Vieni via con me, di Fabio Fazio e Roberto Saviano, ha intanto aperto a un altro genere televisivo ancora: quello della tv fatta evento. Infarcita sì di parole ma per nulla urlata, sprovvista addirittura di contraddittorio, golosa perfino per (e di) un pubblico giovane, riflessiva, moderata, «crea-notizia».
Lasciamo perdere le rare giornate eccezionali. Quelle in cui è la realtà ad andare in soccorso ai talk (tipo martedì con il voto di fiducia al governo e Ballarò, che, commentandolo, in prima serata su Raitre, ha registrato di conseguenza il suo record stagionale con 5.638.000 spettatori e uno share del 22.49 per cento). Per il resto, sette giorni su sette di talk, sparsi su ogni rete, quasi a qualsiasi ora del giorno e della notte, con gli stessi ospiti che, spesso, traghettano instancabili da un contenitore televisivo allaltro nellarco di ventiquattrore, beh, danno la sensazione che ormai, la realtà non sia più sufficiente a riempire i talk, che la realtà non basti più alle esigenze televisive. Per questo spesso, in nome degli ascolti, si è costretti a sfilacciarla, enfatizzarla, sezionarla e drogarla fino allinverosimile. E per questo spesso, il pubblico da casa, lascia cadere il telecomando con la fastidiosa sensazione di non poterne più di rimanere sintonizzato su un consesso di persone che finisce col parlare del nulla.
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