«Tutto cominciò quando, a 16 anni, mi capitò di fare il testimone detective»

Probabilmente era scritto nel destino di Michael Connelly che la sua sarebbe stata una carriera al servizio del noir. E questo molto tempo prima che venisse segnalato nel ’92 per il «Pulitzer» grazie ai suoi articoli dedicati all’incidente aereo del Delta 191 o che si occupasse dei disordini di Los Angeles, sempre nel 1992. Un destino precedente anche la nascita, ancora nel ’92, con La memoria del topo, del personaggio cardine della sua carriera letteraria, il detective Harry Bosch protagonista dell’ultimo suo romanzo, Il cerchio del lupo (Piemme), ma anche di Ghiaccio nero, La bionda di cemento, L’ombra del coyote, La città delle ossa, Lame di luce, tutti ambientati a Los Angeles.
La passione di Connelly per certe storie risaliva infatti alla sua adolescenza. «A 16 anni - mi confessò un giorno al telefono - assistendo a un crimine, sviluppai l’interesse per la letteratura di genere. C’era stata una rapina con relativa sparatoria e io vidi il rapinatore mentre scappava. Vidi dove aveva nascosto la pistola. Così aiutai la polizia a ritrovare l’arma e feci il mio ingresso nel mondo dell’investigazione. Mi portarono alla stazione di polizia, mi fecero delle domande, mi fecero passare in rassegna un gruppo di sospettati... Fino ad allora, non avevo mai avuto rapporti con la polizia... Trascorsi 6 o 7 ore con i poliziotti e da quella sera mi misi a leggere storie su di loro. In pochi anni, maturai la decisione: sarei diventato uno scrittore».
Quanto alla nascita di un personaggio carismatico come Harry Bosch, ancor oggi Connelly ammette di non capire le ragioni della sua fortuna. «Se dovessi descrivere Harry con un solo aggettivo - spiega - direi che è “inarrestabile”. Mi piacerebbe che la gente pensasse questo, di Harry. La sua è una missione e nessuno lo può fermare. Credo che, siccome tutti desiderano essere “inarrestabili” nel perseguire il proprio obiettivo, ciò lo renda molto vicino alla gente. Non mi sono messo alla scrivania con l’intento di creare un personaggio in cui la gente volesse immedesimarsi. La scrittura a volte è una faccenda mistica, strana... Ci ho messo un bel po’ di tempo a trovare un nome di battaglia che potesse qualificare in qualche modo il mio detective e che avesse anche un significato metaforico. E così, mentre Los Angeles era in piena rivolta nel 1992 e le cose stavano sfuggendo di mano e si respirava un’atmosfera malata, mi tornò alla memoria il pittore Hieronymus Bosch. Tutti i suoi quadri descrivevano un mondo andato in rovina, il caos, il peccato. Ecco come saltò fuori il nome magico e allo stesso tempo un po’ maledetto di Bosch... Nelle mie storie l’obiettivo non è scoprire il colpevole, per questo un personaggio come Harry è risultato perfetto nel tempo.

Nei miei libri cerco di mostrare ciò che accade a Los Angeles che rappresenta bene la società del mio Paese. Sono convinto che i thriller diano l’opportunità di scrivere storie sociali, di illustrare, indagare, osservare qualunque tipo di problematica sociale».

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