Tutto esaurito per Capossela il «menestrello maledetto»

L’ultimo album «Ovunque proteggi» è un concentrato di mitologia classica e di attualità fra salmi e prediche

Tutto esaurito per Capossela il «menestrello maledetto»

Antonio Lodetti

«L’arte non è mai separata dal mio mondo quotidiano». È questo il motto e la ragione di vita di Vinicio Capossela, il cantautore più atipico che abbia mai calcato i nostri palcoscenici.
Un po’ menestrello maledetto un po’ istrionico entertainer, definito da alcuni il «Tom Waits della Bassa» (basta sostituire il whisky con la bonarda e il lambrusco e i suoi personaggi hanno la stessa visione del mondo dai bordi malfamati della vita), lui gioca con i suoni etnici collaborando con la Kocani Orchestra, poi si butta sui tanghi di Roberto Goyeneche e Annibal Troillo riarrangiati e tradotti in italiano, poi lavora in teatro e tv con Paolo Rossi (spettacoli come Pop e Rebelot e Scatafascio), si dà anche al cinema con Aldo Giovanni & Giacomo.
Naturalmente scrive romanzi e poesie e poi le ballate notturne, alcooliche, ombrose ma spruzzate di humor che hanno fatto la sua fortuna. Le ballate che ha seminato con nonchalance partendo da All’una e trentacinque circa (l’album del 1990 selezionato al Premio Tenco come miglior opera prima) passando per l’ambizioso Canzoni a manovella, dedicato a Céline e ad Alfred Jarry, l’uomo che ha inventato la patafisica ovvero «la scienza delle soluzioni immaginarie».
Cui sembra essere ispirato anche il suo ultimo album, Ovunque proteggi (uscito all’inizio dell’anno con una inatteso balzo in testa alla nostra hit parade) strano concentrato di mitologia e contemporaneità che lo stesso Capossela definisce come un viaggio «a metà strada fra un’Odissea mitica e una via crucis profana».
Il disco naturalmente è diventato uno spettacolo di grande suggestione che Capossela presenta al Teatro Smeraldo lunedì e martedì all’insegna del tutto esaurito, tanto che si è stati costretti dalle richieste del pubblico ad organizzare una terza data - sempre allo Smeraldo - il 27 aprile.
«Sarà un concerto mitologico di pezzi solenni fatti brano a brano nel nostro Colosseo - dice Capossela con una delle sue tipiche dichiarazioni provocatorie -; dunque ascolterete salmi e prediche, arriverete in fondo al labirinto del Minotauro, sarete adescati dalla Medusa, conoscerete giganti e maghi... Scenderete tra le suggestioni delle ombre e la materia della carne, carne fatta di pietra e amplificatore».
Uno spettacolo impossibile da spiegare, che propone un Capossela in veste di «cantattore», dato che per ogni brano indosserà abiti e costumi diversi (la pelliccia di capra in Brucia Troia; il colbacco in Moska valza, l’elmo dei legionari romani in Al Colosseo)e che le canzoni saranno animate dalle proiezioni del Teatro d’Ombre Controluce di Torino (ussari e dragoni all’attacco in Nutless, vascelli e anime dannate in SS dei naufragati, danze degli scheletri in Pena de l’alma).
Chiusa la prima parte dello show, interamente dedicata al nuovo album, Vinicio Capossela pescherà nel suo repertorio, come al solito cambiando bizzosamente la scaletta a seconda dell’umore o dell’attimo fuggente.

La seconda parte dovrebbe aprirsi con Maraja e inanellare i suoi brani preferiti, da Che cos’è l’amor a Con una rosa passando da Scatafascio, Corvo sordo o ancora Modì, che esegue da solo al pianoforte, riservando per il bis una versione moderna e ricca di campionamenti de Il ballo di San Vito e di Ovunque proteggi, eseguita con le luci della sala accese, per assistere - con quel pizzico di narcisismo di troppo - al tributo dei suoi irriducibili fan, anche se lui stesso sottilinea sempre «Quando finisco di suonare sono spesso insoddisfatto perché vorrei sempre dare di più».
Al fianco di Capossela suonano Alessandro «Asso» Stefana alla chitarra, Vincenzo Vasi al theremin e alle programmazioni, Michele Vignali ai fiati, Glauco Zuppiroli al contrabbasso.

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