Tutto il marcio minuto per minuto: nel calcio è sempre la stessa storia

Dal Torino che "compra" lo juventino Allemandi per vincere il derby a Moggiopoli: gli autori Mario Celi e Enzo Catania non si fanno illusioni

Tutto il marcio minuto per minuto: nel calcio è sempre la stessa storia

Forse voi non ci crederete, ma leggete qui: «Il F.C. Juventus profondamente offeso dalla comprovata inaudita corruzione perpetrata ai suoi danni esprime la sua ardente gratitudine all’onorevole Leandro Arpinati e all’onorevole Direttorio Federale, invocandone l’altissimo ausilio per l’efficace continuazione delle indagini che auspica condotte fino all’accertamento di tutte le responsabilità. Per l’opera di corruzione e per i colpevoli il F.C. Juventus, fiero del suo trentennale nome immacolato, forte della sua condotta inflessibilmente leale, ha una sola parola di disprezzo». Possibile?
Già, possibile: non è Calciopoli per carità, ma il suo antenato, anno 1927, scudetto revocato al Torino, la strana vicenda del bianconero Allemandi e di 50mila lire offerte per perdere contro i granata. È la prova evidente che il pallone rotola sulla storia, magari al contrario, ma alla fine torna sempre indietro. E il problema è che, 80 anni dopo (ma anche in molto meno tempo), si tende a dimenticare. Dunque ecco che, all’uopo, arriva Tutto il marcio minuto per minuto - Il romanzo nero del calcio italiano dal 1896 ad oggi (edizioni Piemme, 361 pagine, euro 17,90), una vera enciclopedia di quello che il football è stato e - credeteci - continuerà ad essere, scritto a quattro mani da Enzo Catania e Mario Celi - giornalista e scrittore il primo, caporedattore del Giornale il secondo - vere e proprie memorie storiche nel «Paese dei dimenticoni».
Insomma, dei centoundici anni di storia del nostro pallone nulla sfugge e non manca nessuno: dagli ultimi scandali alla violenza delle curve, dall’Heysel al rigore mancato su Ronaldo, dal «caso Scaramella» (l’arbitro che nel 1952 chiedeva contributi da un milione prima delle partite) ai «massaggi proibiti» che hanno allietato i momenti di relax dei nostri eroi. Miseria e (poca) nobiltà del calcio italiano condite da un non trascurabile sapore tragicomico.
Come nel caso del doping, la piaga del nostro tempo e del nostro sport, per il quale esiste - come Catania e Celi sottolineano - una ormai lunga serie di giustificazioni alla positività che superano in stramberia perfino l’allenatore nel pallone stile Lino Banfi: ci sono quelli che hanno accusato la carne di cinghiale, il difensore vittima dello shampoo al nandrolone, il centrocampista dopato per colpa delle meches e quello caduto sotto i colpi dello sciroppo omeopatico. Per non parlare della letale pomata usata dalla fidanzata di un noto attaccante...
Ci sarebbe da ridere, dunque, se la storia del nostro calcio non fosse anche piena di lutti - dai troppi casi di malattie senza speranza ai suicidi eccellenti - e di molti misteri. Vere e proprie truffe, perché per praticare il calcio, ricordano gli autori, «nelle enciclopedia troverete scritto qualcosa come “sono utilizzati un pallone sferico e un campo di gioco con due porte ed è adottata una serie di regole codificate”. Inguenui questi enciclopedisti. Paiono trascurare ciò che molti nel mondo della pedata compresero fin dagli albori, e cioè che quelle regole, più che rispettate, potevano essere interpretate, quando non aggirate e violentate».
È storia di sempre, è storia recente. Il caso Raciti? Beh, nel 1925 fu più o meno così, anche se non ci scappò il morto: per assegnare il titolo interregionale tra Genoa e Bologna ci vollero cinque partite, due finite pari, una vinta dagli emiliani con un gol assegnato - disse l’arbitro - «per questioni di sicurezza», una annullata dopo scontri tra ultrà in camicia nera e l’ultima disputata alle 7 del mattino per non farlo sapere a nessuno. Togliete le camicie nere e, 80 anni dopo, poco ci manca. Per questo Tutto il marcio non vuole essere un invito a divorziare dal calcio, ma un ricordo di quello che il calcio non dovrebbe essere.

Materiale da tenere bene in mente la prossima volta che andremo allo stadio perché, come giustamente Celi e Catania ricordano nel titolo di un capitolo, noi del pallone non potremo mai fare a meno. Nonostante tutto siamo i «dannati della domenica».

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