«Lui era un hippie di poco più di ventanni, io il classico manager in giacca e cravatta. Ci conoscemmo per caso nella sala daspetto di un ristorante, unambientazione davvero improbabile per un incontro destinato a cambiarti la vita». Inizia così il racconto di Jay Elliot, il «manager in giacca e cravatta» storico alter ego dellex «hippie» che avrebbe inventato il futuro; al secolo Steve Jobs, il genio del fenomeno Apple che ha rivoluzionato il modo di comunicare (e di vivere) attraverso prodotti ormai simbolo come il «Mac», liPod, liPhone e, croce e delizia dei mass media, liPad. Un volo duccello dallinformatica alla telefonia, dalleditoria alla cinematografia danimazione (anche Toy Story, e A Bugs Life sono sue creature): passando... per il rock, visto che oltre alliPod, il lettore multimediale più venduto al mondo, Jobs ha messo in scacco anche il mercato discografico inventando il servizio online iTunes Music Store, quello da cui milioni di giovani (e non solo) scaricano canzoni e films.
Occhi vispi e baffi alla Sean Connery sul faccione pasciuto, Elliot è appena sbarcato a Milano per presentare la sua biografia dedicata al Leonardo del nuovo Millennio, luomo che ha cambiato la sua vita prima ancora che la nostra: Steve Jobs, luomo che ha inventato il futuro edito da Hoepli verrà annunciato come il vangelo stamattina agli studenti della Bocconi. Lex vicepresidente senior della Apple parla di lui come di un «artista capace ogni giorno di creare cose teoricamente impossibili, semplicemente inventando, più che semplici prodotti tecnologici, nuovi modi di senso». Una rivoluzione anche per lui che, prima di incontrare il ragazzaccio da 250 milioni di dollari, faceva il dirigente allIbm «dove era impossibile fare accettare nuove idee». Jobs, invece era lidea, «ma forse aveva bisogno anche di chi, come me, avesse i piedi per terra e le idee gli dicesse come metterle in pratica». Un personaggio che, nella sua ascesa a uomo daffari più potente al mondo, è stato anche tacciato di spregiudicatezza, ben riassunta nel motto aziendale: «Non siete la Marina, siete i pirati», oppure il più tirannico «fai come ti dico o quella è la porta». Elliot però preferisce parlare di energia e love, amore. Amore per il prodotto e per lazienda. Un amore di cui ebbe limmediata percezione fin dallinizio quando, nei primi anni Ottanta, Jobs lo portò per la prima volta al Parc, il centro di ricerca Xerox di Palo Alto, e in una stanza piena di computer gli mostrò «la versione primitiva di quello che poi avremmo chiamato mouse». In realtà le sue conoscenze tecniche non erano eccelse. «Un giorno mi disse che aveva scoperto il fascino del computer quando da ragazzino aveva visitato il centro di ricerca Ames della Nasa. In realtà ho scoperto che non aveva visto davvero il computer ma solo il terminale».
Oggi, davanti agli studenti italiani, Elliot enuncerà quelli che ha definito i paradigmi della iLeadership di Jobs. Prima regola, appunto, la passione, «che nasce dal suo essere il primo, il più grande consumatore. Steve ha dato vita al Macintosh con lintento di farne un computer per tutti noi e ha creato liTunes e liPod perchè amava la musica e voleva avercela sempre addosso. Trovava comodo il cellulare ma odiava i telefoni presenti sul mercato, brutti e difficili da usare e questa insoddisfazione lha spinto a creare liPhone», cioè il primo telefono con lo schermo multi-touch. «La sua seconda regola è la semplicità, virtù che si può raggiungere solo lavorando sui dettagli, eliminando il superfluo e prevedendo lesperienza dellutente».
Terza regola? «Imparare dagli errori e Steve, che fu licenziato dalla Apple nell85 per poi farvi ritorno 10 anni più tardi per nuovi trionfi, di cantonate ne ha prese eccome. Come quando si fissò che il Mac avrebbe dovuto funzionare senza ventola per essere perfettamente silenzioso. Gli ingegneri erano disperati e mi scongiurarono di fargli cambiare idea, ma fu tutto inutile.
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