La tv di Hong Kong è troppo libera e la Cina l’oscura

Osi portare ospiti non allineati al regime in televisione? Il rischio più concreto in Cina è che ti «taglino il cavo». È successo alla Sun Tv, emittente commerciale di Hong Kong che aveva fatto dei talk-show il suo punto di forza. Dai primi del mese, la Repubblica popolare cinese ha revocato le licenze degli operatori via cavo per la diffusione nel Paese di questa rete privata, che pare si sia spinta troppo in là, mandando in onda dibattiti su temi politici di attualità. La spiegano in questi termini fonti dell’industria televisiva di Hong Kong, mentre al momento manca ancora una versione ufficiale a quella che ha tutta l’aria d’essere l’ennesima censura da parte di Pechino. Durante quest’anno il controllo del Partito comunista cinese sui media è andato via via crescendo: prima a causa delle rivolte nella regione del Xinjiang, represse nel sangue, poi in vista del 60° anniversario della fondazione della Repubblica popolare, celebrato in pompa magna a ottobre.
La SunTv appartiene all’imprenditore Chen Ping, titolare della Sun Television Cybernetworks Enterprise Ltd, le cui azioni sono scese del 3,48% appena ieri è iniziata a circolare la notizia. L’emittente trasmette in tutta la «grande Cina» (Repubblica popolare, Hong Kong, Macao e Taiwan) e ha sempre avuto una diffusione limitata ai complessi residenziali di lusso e ai grandi alberghi. Negli ultimi mesi i suoi talk-show erano diventati estremamente audaci e un paio di volte alcuni ospiti avevano parlato della necessità di una riforma politica in Cina. «Dal 5 dicembre le nostre trasmissioni non sono più diffuse in Cina», ha raccontato un impiegato della SunTv, aggiungendo che finora non sono state fornite spiegazioni dalle autorità cinesi. Secondo un dipendente della Sun Television Cybernetworks Enterprise Ltd, che ha chiesto l’anonimato per paura di ritorsioni, «alcuni degli ospiti sono stati troppo espliciti nel parlare della necessità di una riforma politica in Cina».
Sembra che la «colpa» della SunTv sia quella di aver dato voce al parlamentare democratico di Hong Kong, Leung Kwok-hung, conosciuto col soprannome di «long hair» (capelli lunghi) per la sua folta capigliatura e gli atteggiamenti da ribelle. Il politico è stato già arrestato alcune volte per le sue proteste pubbliche contro il regime cinese. Da tempo chiede più democrazia e diritti civili a Hong Kong ed è impegnato in prima linea nella campagna per la liberazione di Liu Xiaobo, l’intellettuale accusato da Pechino di «sovversione contro lo Stato» per aver pubblicato articoli pro-democrazia e sottoscritto il documento di Carta 08.
Nella ex colonia inglese cresce ogni anno il fronte di chi chiede per il Territorio una piena democrazia, la cui applicazione è stata bloccata da Pechino fino al 2017. Sono sempre più numerosi, inoltre, i giornalisti che denunciano la cosiddetta auto-censura di televisioni e giornali locali per far piacere al governo centrale.
L’oscuramento della SunTv si inserisce in una più ampia offensiva lanciata quest’anno dall’organismo statale responsabile della censura sui mezzi d’informazione, la State Administration of Radio, Film and Television (Sarft).

L’iniziativa più eclatante è stata avviata questa estate: si tratta della campagna anti-pornografia, in nome della quale le autorità hanno arrestato finora circa 3.500 cittadini e chiuso migliaia di siti web. Di recente il provvedimento è stato esteso anche ai fornitori di contenuti e di pubblicità ai produttori di telefoni cellulari.

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