Cultura e Spettacoli

Twombly, un americano

L’incontro con la Roma degli anni Sessanta lascia un segno indelebile nell’opera del silenzioso artista

Twombly, un americano

È assolutamente da non perdere la grande mostra che la Tate Modern dedica a Cy Twombly, suddivisa per cicli e momenti pittorici («Cycles and Seasons», a cura di Nicholas Serota). Nello stesso 1958 in cui Franz Kline espone a La Tartaruga a Roma, il gallerista Plinio De Martiis presenta un americano che per anni farà di Roma la sua patria d’elezione: Cy Twombly. Roma all’inizio degli anni Sessanta è un villaggio con una cultura da capitale, un luogo incantato dove con l’arte antica convivono i registi, gli scrittori e gli artisti di Piazza del Popolo.
Twombly, dopo i primi viaggi con Rauschenberg, vi si stabilisce nel ’57. Nicola Del Roscio riferisce di aver sentito la madre dell’artista raccontare che sin da bambino Cy (nato nel ’28), ripeteva sempre: «Da grande andrò a Roma!». Se ne innamora infatti sin dal primo viaggio con Rauschenberg che poi se ne andrà, mentre Twombly tornerà per restare a lungo. Non si vuole dire che Twombly non sarebbe stato lo stesso senza quel viaggio in Italia, ma segnalare la felicità dell’incontro. «Chi non ha lasciato un segno sul muro, inarrestabile impulso di tracciare un segno, di fare un gesto, puro gesto sul puro muro bianco?», si chiede Palma Bucarelli.
Certamente il filone culturale da cui discende Twombly è quello della pittura d’azione, ma si potrebbe dire che se questa grida, la pittura di Twombly tace, è reticente. Lo stesso artista ha raramente rilasciato dichiarazioni sul proprio lavoro. Gli elementi segnici si ingarbugliano sulla superficie, eppure le opere di quegli anni si riferiscono alla pittura antica e a temi classici. A esempio Empire of Flora (1961) rimanda al celebre quadro in cui Poussin rilegge il mito di Ovidio attraverso la sensibilità del cavalier Marino. In Poussin l’avvenimento fisico della morte è legato alla metamorfosi, in Twombly l’insieme si dissolve nelle molteplici spruzzature. Temi mitologici legati al motivo della bellezza come quello della nascita di Venere e quello di Apollo sono anche nei lavori su carta degli anni Settanta: Apollo and the Artist del ’75, come altri della stessa tipologia, è scandito in due fasce, in quella superiore appare la grande scritta azzurra «Apollo», nell’inferiore un elemento floreale è in una sorta di quadro nel quadro. Twombly attraversa il confine della letteratura, la scrittura entra nell’opera. Le sue parole sembrano scritte «nel vento e nell’acqua» per riprendere l’immagine di un poeta da lui amato, Catullo.
La mostra presenta opere di straordinaria intensità tra cui una struggente serie realizzata in occasione della tragica morte di Ninì Pirandello, la moglie di De Martiis (Nini’s Painting, 1971). Per Twombly, che ha vissuto in Italia, nell’Africa del Nord e in Spagna, il Mediterraneo è dunque il teatro della vicenda artistica. Di effetto-Mediterraneo in Twombly ha parlato Roland Barthes, notando che questa globale impressione visiva viene raggiunta partendo da un materiale che nulla ha a che fare con la tradizione mediterranea. Ciò che rende possibile questo effetto è il senso della forma che Twombly possiede. L’origine dell’opera è nell’ispirazione dell’artista, ma il risultato è sempre equilibrato: i segni si rarefanno disponendosi sulla tela che si trasforma in una superficie sensibile e delicata, dove il vuoto e i punti di maggiore intensità cromatica trovano una naturale armonia.
In analogia con le pitture si pongono le sculture, esili, precarie, ma ben calibrate che sembrano librarsi nell’aria, come i minuscoli assemblaggi di legni e metalli del ’46 e ’47. Il segno di Twombly non dice, non indica altro ma mostra se stesso, la grafite, il pastello, l’olio mostrano se stessi, non rimandano ad altro. Ma un’energia trasformatrice opera il miracolo della metamorfosi.
LA MOSTRA
«Cy Twombly. Cycles and Seasons». Alla Tate Modern di Londra fino al 14 settembre. Al Guggenheim Museum di Bilbao dal 28 ottobre all’8 febbraio.

Alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma dal 4 marzo al 24 maggio 2009.

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