Ubi va al tappeto in Borsa (-5,2%) e a Brescia cresce la tensione

L’amministratore delegato Victor Massiah ha preferito bruciare i tempi di Basilea 3, ma l’aumento di capitale da un miliardo che si concluderà il 24 giugno si sta rivelando una prova molto pesante per gli azionisti di Ubi Banca: ieri il titolo ha perso un altro 5,2%, avvicinandosi alla soglia dei 4 euro, a un passo dai 3,808 euro richiesti dalla ricapitalizzazione. Una débâcle, aggravata dai fantasmi che la crisi greca continua ad agitare sull’intera industria del credito internazionale, mettendo all’angolo gli investitori. È il terreno preferito dagli hedge fund, quantomai accaniti a vendere Ubi allo scoperto scommettendo sull’arbitraggio con il valore del diritto (-52%), al punto da provocare una marcata crescita del «prestito titoli».
Secondo gli analisti ad acuire la malattia di Ubi (-39,9% da metà marzo) ha tuttavia contribuito la tempistisca dell’aumento. L’operazione sembra infatti aver spiazzato un mercato già perplesso davanti all’ultima trimestrale: i conti, benché in deciso miglioramento rispetto al 2010, sono giudicati deboli per ricavi, margini e qualità del credito della controllata Centrobanca. Ma ancora di più ha giocato la delusione delle Sim per il nuovo piano industriale, che si dovrebbe tradurre in un rendimento potenziale in termini di dividendi pari al 2,9% nel 2011 e al 3,8% nel 2012; decisamente meno del 5,4% promesso dai «cugini» di Intesa Sanpaolo, con cui Ubi è legata tramite Giovanni Bazoli e l’eredità dell’ex Banca Lombarda.
Non per nulla le grandi famiglie bresciane socie di Ubi e di Ca de’ Sass, sarebbero state inizialmente «fredde» rispetto alla ricapitalizzazione della cooperativa guidata da Emilio Zanetti. Alcuni «maggiorenti» come la famiglia Lucchini, Fidanza e il notaio Camadini hanno comunque poi aderito e anche la Fondazione Cr Cuneo, Banca del Monte di Lombardia e Cattolica avrebbero comunicato ai vertici di Ubi l’intenzione di aprire il portafogli.
L’eventuale inoptato sarà interamente coperto dal consorzio di garanzia, ma lo scoglio dell’aumento sembra aver messo a dura prova la stessa autorità di Bazoli nella città della Leonessa, infastidita dal supposto «progressivo avvicinamento» del professore-banchiere all’anima bergamasca di Ubi. Un fronte, quest’ultimo, osservato con crescente freddezza dal «nocciolo duro» dei bresciani che si riconosce nel presidente del consiglio di sorveglianza Corrado Faissola e che schiera Alberto Folonari, Luigi Bellini, Pierangelo Gramignola, Gianfederico Soncini, Pietro Gussalli Beretta.
La variabile non è secondaria perché nel 2013 è atteso il rinnovo del consiglio di sorveglianza e di quello di gestione. Per il principio dell’alternanza, la presidenza del Cdg passerà dai bergamaschi ai bresciani e le diplomazie starebbero già muovendo per spingere alla presidenza, l’attuale vice Flavio Pizzini, noto commercialista in buoni rapporti con la curia milanese e l’asse Bazoli-Guzzetti; altri punterebbero tuttavia su Mario Cera, l’uomo forte della Fondazione della Banca del Monte.
Bisognerà, quindi, vedere come si muoverà l’influente blocco cattolico di Camadini, in cui sfilano Giambattista Montini, Federico Manzoni e Battista Albertani.

Decisa la composizione dei consigli, saranno da completare altre caselle di comando, forse con la scalata alla direzione generale di Elvio Sonnino (considerato vicino a Massiah) o di Francesco Iorio, braccio destro storico dell’ex amministratore delegato Giampiero Auletta Armenise. Per il dg uscente Graziano Caldiani ci sarà probabilmente un altro posto di peso al vertice del gruppo.

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