Gastronomicamente parlando, quella del 1930 era ancora lItalia di Pellegrino Artusi. LItalia dello «sformato della signora Adele» nelle cucine borghesi. E, nelle cucine povere e di campagna, delle antiche ricette che la tradizione, la fantasia e la penuria di ingredienti avevano inventato e tramandato in un Paese ancora per molta parte rurale. Ma sui fornelli borghesi come sui focolari contadini, dominava incontrastata la pastasciutta, che fosse condita con solo pomodoro o con sontuosi ragù meridionali, di quelli a cui Paolo Monelli scioglieva peana nel suo Ghiottone errante.
Su questa Italia il Manifesto della cucina futurista, pubblicato da Marinetti il 28 dicembre 1930 sulla Gazzetta del Popolo di Torino, piombò come un fulmine, sconvolgendo tranquilli desinari allo squillo di un invito «allanarchia più rivoluzionaria» fra le pentole. Due anni dopo il Manifesto, lo stesso Marinetti con il futurista Fillìa (pseudonimo di Luigi Colombo) dava alle stampe il libro La cucina futurista che oggi viennepierre edizioni ripropone in ristampa anastatica (pagg. 267, euro 20) con prefazione del saggista Pietro Frassica.
Un libro gustosissimo, non tanto per le ricette più o meno folli che contiene, ma perché vi si ritrova intatto lindomito spirito beffardo marinettiano, la forza dirompente dellironia e del paradosso, che fu la qualità più bella dellavventura estetica futurista. Parafrasando lex segretario diessino Occhetto, quella di Marinetti era veramente «una gioiosa macchina da guerra», destinata in gran parte al divertimento dei belligeranti. Una guerra che non si combatteva solo in cucina, ma puntava le armi contro molti difetti del costume italiano: la pigrizia, lesterofilia e, secondo i futuristi, la mancanza di fantasia. «La rivoluzione cucinaria futurista - scriveva nella prefazione Marinetti - si propone lo scopo alto, nobile e utile a tutti di modificare radicalmente lalimentazione della nostra razza, fortificandola, dinamizzandola e spiritualizzandola con nuovissime vivande in cui lesperienza, lintelligenza e la fantasia sostituiscano economicamente la quantità, la banalità, la ripetizione e il costo».
Fra molte polemiche ma anche curiosità vivissime che ebbero vasta eco sulla stampa estera, si aprirono i ristoranti futuristi: la «Penna dOca» a Milano e la «Taverna del Santopalato» a Torino. Ideato dallarchitetto Diulgheroff e decorato dal pittore Fillìa, il «Santopalato» si inaugurò con un menù memorabile: 14 portate che andavano dall«Aerovivanda tattile con rumori ed odori» (inventata da Fillìa) al «Carneplastico» («Questo piatto - avverte Marinetti nel libro - è una pietra miliare della cucina futurista»), dall«Ultravirile» («un piatto per signore») al «Pollofiat» (con ripieno di pallini per cuscinetti a sfere di acciaio) e al dolce «Reticolati del cielo».
Lavventura culinaria marinettiana è più che altro ricordata per la guerra senza quartiere alla pastasciutta che trovò adesioni nella parte più «futurista» e «movimentista» del fascismo, dal canto suo sempre meno movimento e sempre più regime, in unItalia rimasta borghese e pasciuttara nonostante i proclami rivoluzionari. Ma a rileggere oggi le pagine di Marinetti e Fillìa, al di là dellironico scintillìo dello stile, ci si imbatte in idee che precorrono le teorie nutrizioniste dei decenni futuri. Lattacco alla scipita cucina internazionale (la «cucina del Grande Albergo»), lelogio dei cibi integrali: «il riso è un alimento prezioso, ma a patto che non venga privato con la brillatura delle sue sostanze...; le verdure contengono veri tesori... purché con le assurde cotture... non vengano stupidamente distrutti»;... è ormai dimostrato che una piccola quantità di cibo ben combinato secondo la razionale conoscenza dei bisogni del nostro organismo dà assai più forza ed energia dei piatti di maccheroni, di carne e di uova che consumano coloro che vogliono ben sostenersi...».
Marinetti predecessore dunque dei dietisti e della nouvelle cuisine.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.