Uccise la moglie americana, rinviato a giudizio

Avevano discusso, ancora una volta, per l’affidamento della figlia. Una lite come tante finita in tragedia per Marie Toni Dikstre, cittadina statunitense di 29 anni, crollata a terra con il cranio fracassato. Ieri mattina il presunto assassino, Carlo Alberto Ventre, 57 anni, è stato rinviato a giudizio con l’accusa di omicidio volontario.
È il 28 luglio del 1998, luogo del fattaccio un elegante villino al villaggio Tognazzi, Torvaianica. L’unico testimone, il convivente della vittima, si è sempre difeso parlando di una tragica fatalità: l’ascia sequestrata dagli inquirenti, lui, non l’avrebbe nemmeno sfiorata. Eppure le macchie di sangue rilevate in un primo momento sul manico parlano chiaro. La perizia eseguita a suo tempo, però, lo scagiona, almeno in parte: tracce di cuoio capelluto sullo spigolo in marmo del camino fanno pensare davvero a una disgrazia. D’altro avviso, ieri, il gup Galileo D’Agostino: dopo un’ora di camera di consiglio la decisione di avviare il processo davanti alla prima Corte d’Assise d’Appello di Roma il 1° marzo prossimo.
Secondo l’accusa, il pm Giancarlo Capaldo, Ventre uccise l’ex convivente più giovane di 21 anni, durante l’ennesimo battibecco per la salute della figlia, all’epoca di 3 anni d’età. Tensioni fra i due, del resto, nascono fin dalla sentenza di affidamento congiunto stabilito da un giudice californiano. La donna, secondo il racconto di Ventre, vuole tenere Sara, chiamiamola così, a Los Angeles. Lui portarla in Italia. Figlioletta al seguito, alla metà di giugno Ventre s’imbarca su un aereo diretto a Roma. L’uomo deve curare gli interessi della sua impresa, una ditta di import-export. Soprattutto fuggire dalla presenza inquietante dell’ex marito di lei, un messicano accusato di violenza carnale su minori. Quando Marie Toni se ne accorge i due sono già lontani. Li raggiunge in Italia. Inizia una battaglia legale. Un giudice italiano, il 21 luglio ’98, affida Sara alla madre. Il giorno dopo la giovane prende una stanza all’Hotel La Scaletta, a Ostia. Le liti si susseguono, fioccano le denunce.
Il caso arriva sulla scrivania di un ispettore di polizia. L’uomo è accusato dalla donna di aver rapito la bambina portandola via dagli Stati Uniti. Il primo impugna il documento rilasciato dal tribunale americano, lei quello italiano. Passano i giorni. Quel maledetto 28 luglio pomeriggio la donna si presenta in casa dell’uomo, in via Lago di Lugano, per vedere la bambina. Ma Sara non c’è. È ricoverata da 3 giorni nel reparto di pediatria dell’ospedale Grassi per una broncopolmonite. Secondo gli investigatori che si occuparono del caso, la squadra mobile romana di Nicolò D’Angelo, la donna se la prende con Ventre per le condizioni della figlia e per il fatto di non essere stata avvertita del ricovero. Sono passate le ore 16 quando scoppia il finimondo. Volano soprammobili di ogni tipo. Ventre racconterà di essersi difeso come poteva da quella furia scatenata. Lo confermano ferite a un braccio. A un certo punto, però, la donna viene scaraventata sul pavimento e muore. È lo stesso Ventre a telefonare al 113 dicendo di aver ucciso l’ex convivente. L’autopsia parla di lesioni traumatiche della regione occipitale.

È stato l’uomo a provocarle con un oggetto contundente o durante l’azzuffata, per causa di questa, la poveretta perde equilibrio e batte sul camino? Insomma: omicidio di primo grado o eccesso colposo di legittima difesa? La famiglia della donna, adesso, si è costituita parte civile.

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