«Uccise con premeditazione»

Enrico Lagattolla

Dieci pasticche di tranquillante. Un omicidio volontario, con l’aggravante della premeditazione. Si sono chiuse ieri le indagini sulla morte di Maria Tocco, 44 anni medico internista al Policlinico, uccisa lo scorso 17 gennaio da Elena Casula, l’infermiera dell’ospedale di San Donato con cui la donna aveva stretto una relazione sentimentale.
Ad aggravare la posizione dell’indagata è stato l’esito di una perizia disposta dal pubblico ministero Claudio Gittardi, che ha evidenziato elevate percentuali di tranquillante nel sangue della vittima (come se avesse ingerito da quattro a dieci pillole di sedativo), e tracce della stessa sostanza nella bottiglia di aranciata da cui Maria Tocco aveva bevuto poco prima di morire.
Che si fosse trattato di omicidio, era stato chiaro fin da subito. Fu la stessa Casula a telefonare al 113 per confessare di aver ucciso la ex convivente. «Non so perché l’ho fatto, ma l’ho fatto», disse agli agenti. E fornì la sua versione. Quella di una relazione difficile, iniziata nel giugno del 2004, e interrotta nel dicembre successivo per volere del medico.
Elena Casula, che in passato aveva avuto problemi di alcolismo, aveva ricominciato a bere. La convivenza si era complicata, i diverbi sempre più frequenti.
Poi, la notte del 17 gennaio. Elena Casula invita nella sua abitazione Maria Tocco, col pretesto di restituirle un anello. Forse, per tentare di recuperare il rapporto. È ubriaca. Scoppia una lite.
Maria Tocco fa per uscire di casa, l’infermiera tenta di fermarla prendendola per la sciarpa, che si stringe al collo della donna facendola svenire. Racconta, la Casula, di averla poi adagiata sul letto, e soffocata con un cuscino. Quindi, chiama la polizia.


Gli agenti la trovano accanto al letto su cui è sdraiata la vittima, seduta su una poltrona, una sigaretta accesa. Sotto shock ma lucida, racconta che non sopportava l’idea di troncare la relazione. «Nulla di premeditato», disse. Non così per la pubblica accusa.

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