Gian Micalessin
Se per formare il nuovo governo palestinese bisogna prima attendere la totale cessazione della violenza a Gaza, come spiegava ieri il presidente Mahmoud Abbas, allora potrebbe volerci del tempo. Mentre il presidente parlava le ambulanze raccoglievano cinque cadaveri straziati dai proiettili nei dintorni della residenza del primo ministro di Hamas Ismail Haniyeh. Erano caduti poco prima, abbattuti come birilli dalle sventagliate di kalashnikov sparate da un auto in corsa. Il significato della strage ancora non lo si conosce. Di certo fra le vittime vi è un generale dellAutorità palestinese con un incarico importante ai vertici dei servizi di sicurezza. Il generale Jad Tayeh era il responsabile del coordinamento dellintelligence palestinese. Le modalità dellagguato a Tayeh e ai suoi quattro collaboratori fanno pensare a un altro capitolo della lotta tra fazioni che da mesi contrappone esponenti di Fatah e i nuclei armati di Hamas. Un altro episodio, insomma, che rischia di rendere più difficile lintesa per dar vita a un governo di unità nazionale. Già suddividere i ministeri - dopo mesi di scontri aperti tra Abbas e Haniyeh e conflitti armati tra i loro sostenitori - non sarà facile. Haniyeh avvisa che chiunque voglia entrare nel nuovo esecutivo deve essere «onesto, capace e non sospetto di corruzione». Il che permetterebbe di scartare automaticamente la maggioranza dei ministri dei passati governi palestinesi. Neppure Abbas intende però affidarsi agli immutabili gerarchi dellera Arafat e cerca volti capaci di offrire una nuova immagine.
Quel governo - di cui si sa soltanto che sarà guidato ancora dal primo ministro Ismail Haniyeh - già soddisfa le aspettative dei ministri degli Esteri dellUnione Europea. «Abbiamo concordato di appoggiare il nuovo governo, perché rappresenta una svolta» ha annunciato ieri il ministro degli Esteri italiano Massimo DAlema. Il presidente Mahmoud Abbas prima di nominare i ministri pensa a come mettere lesecutivo in condizione di attingere agli aiuti stranieri, dialogare con la comunità internazionale e trattare con Israele. Per raggiungere questi obbiettivi il presidente deve ottenere la liberazione del caporale israeliano Gilad Shalit, rapito lo scorso 25 giugno da Hamas e il rilascio dei ministri e deputati di Hamas detenuti nelle carceri israeliane. La lettera del caporale consegnata ieri alla famiglia Shalit è il primo segno che le trattative si stanno muovendo nel verso giusto. Quella lettera autografa, scritta non più di qualche giorno fa, dimostra con certezza che il caporale è ancora in vita e rende più facile la trattativa per uno scambio di prigionieri.
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